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Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.M. 08.11.2011, G.U. 278 del 29.11.2011

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Casavecchia di Pontelatone D.O.C.

La denominazione di origine controllata “Casavecchia di Pontelatone" è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Rosso
  2. Rosso Riserva

1. Tipologie e Uve del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

 

  • Casavecchia di Pontelatone Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Casavecchia
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Campania
  • => 12,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso tendente al granato con l’invecchiamento, odore intenso, persistente, caratteristico, dal sapore secco, sapido, giustamente tannico, morbido e di corpo.

  • Casavecchia di Pontelatone Riserva (Vino Rosso Invecchiato)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Casavecchia
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Campania
  • => 13% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso tendente al granato con l’invecchiamento, odore intenso, persistente, caratteristico, dal sapore secco, sapido, giustamente tannico, morbido e di corpo.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone è situata a nord di Caserta, in una parte di territorio tra il massiccio del Monte Maggiore e i Monti tifatini.

La Zona di Produzione del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone è localizzata in:

  • provincia di Caserta e comprende il territorio dei comuni di Liberi, Formicola e, in parte, del territorio dei comuni di Pontelatone, Caiazzo, Castel di Sasso, Castel Campagnano, Piana di Monte Verna e Ruviano

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOC Casavecchia di Pontelatone prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell’uva in vino DOC Casavecchia di Pontelatone non dovrà essere superiore al 70%; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
  • Le pratiche enologiche di vinificazione prevedono un periodo di invecchiamento obbligatorio per le seguenti tipologie:
    • Casavecchia di Pontelatone: almeno 24 mesi di cui almeno 12 in botti di legno;
    • Casavecchia di Pontelatone Riserva: almeno 36 mesi di cui almeno 18 in botti di legno.

4. Produttori di Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

Con l’utilizzo della DOC Casavecchia di Pontelatone i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

Primi piatti con ragù di carne, salumi, salsicce, carni rosse alla griglia, capretto e agnello al forno, carne di bufala, formaggi stagionati.


6. Storia e Letteratura del Vino DOC Casavecchia di Pontelatone

La storia popolare, molto diffusa nelle persone del luogo, vuole che il Casavecchia abbia avuto origine da seme, nei pressi di un antico rudere del quale esistono ancora oggi i muri perimetrali, sito nei pressi della vecchia masseria denominata “Ciesi”, nel comune di Pontelatone a pochi passi dal braccio entroterra dell’antichissima via latina che dall’antica Capua portava ad Alife.

Secondo il detto popolare fu un certo Scirocco Prisco, nato a Pontelatone nel 1875 e ivi morto nel 1962 (Archivio dell’Interdiocesi di Caiazzo) a rinvenire verso la fine del XIX secolo, nei pressi del citato rudere (di sua proprietà) la prima vite di Casavecchia. Egli stesso iniziò a riprodurla per propaggine e da qui si diffuse nei vicini comuni di Castel di Sasso, Formicola e Liberi. Sembra che la gente del posto iniziò a dire in gergo dialettale “l’uva e chella casa vecchia” da cui derivò il toponimo Casavecchia.

Da colloqui con i due figli ancora in vita del Prisco Scirocco, Guarino e Giuseppina, nati rispettivamente nel 1930 e nel 1923 a Pontelatone, sembra che suo padre trovò all’età di circa 25 anni, (quindi intorno al 1900) realmente la prima vite di Casavecchia nel posto indicato dalla leggenda e che al momento del rinvenimento avesse già un’età consistente (diametro del fusto di almeno 40 cm).

Le testimonianze di Scirocco Giuseppina e di Scirocco Guarino mettono fortemente in discussione l’attendibilità del detto popolare, proprio perché secondo loro, il padre trovò la prima vite Casavecchia che aveva già un’età consistente, pertanto non si può essere certi del fatto che sia nata effettivamente da seme, per la mancanza di documenti storici e di testimonianze attendibili in merito.

Le ipotesi alternative al detto popolare potrebbero essere diverse, si potrebbe pensare realmente ad una vite nata da seme molto tempo prima del suo rinvenimento, ma anche all’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nella zona e che nei pressi del vecchio rudere un unica pianta sia sfuggita all’abbandono e alla successiva estinzione. La seconda delle suddette ipotesi sembra trovare un importantissimo riscontro con avvenimenti storici accuratamente documentati.

Secondo le ricerche dei geologi, infatti, oltre al periodo freddo umido del tardo-antico tra V e VIII sec., il bacino del mediterraneo sarebbe stato interessato da un altro grande ciclo freddo-umido tra il XVI e la metà del XIX sec.; in Campania questo secondo ciclo si può ritenere concluso dalla epidemia di oidio che nel 1851 colpì la viticoltura, danneggiando e talvolta distruggendo vigneti ed arbusteti, non solo in una vasta area intorno al golfo di Napoli, le isole, il Vesuvio e la pianura campana, ma dilagando anche nelle limitrofe aree regionali (Guadagno G., 1997).

Come recita la relazione presentata alla Reale Accademia delle Scienze nel 1851 dalla commissione appositamente costituita «... in provincia di terra di lavoro... Il male passava di là dai monti che circondano la pianura campana alle provincie limitrofe…». Se si fa riferimento alla predetta relazione che rappresenta l’area interessata dalla epidemia oidica che nel 1851 colpì la Campania, si nota che la zona in cui oggi è diffuso il vitigno Casavecchia fu interessata da tali vicende storiche.

Valutando le testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, tra l’altro molto più attendibili del detto popolare, si capisce che le origini di quella prima vite di Casavecchia sono antecedenti all’infestazione oidica del 1851. Appare chiaro che esiste una indubbia ed inequivocabile collimazione geografica oltre che temporale tra la documentata relazione sull’infestazione oidica del 1851 e i fatti emersi dalle testimonianze dei due figli del Prisco Scirocco, per questo è possibile quanto spontaneo rafforzare l’ipotesi secondo la quale una popolazione del vitigno Casavecchia già era diffusa nell’area in studio o addirittura in Terra di lavoro ancor prima del XIX secolo e che il periodo di freddo umido prima e l’infestazione oidica del 1851 poi, abbiano portato ad una sua estinzione; così la pianta (già vecchia) trovata verso la fine del XIX secolo sarebbe stata l’unica superstite di quella popolazione per cause ancora tutte da chiarire.

Il Vino DOC Casavecchia di Pontelatone ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 8 novembre 2011.

CAPRI DOC

Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 07.09.1977, G.U. 339 del 14.12.1977

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Capri D.O.C.

La denominazione di origine controllata “Capri” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Capri Bianco
  2. Capri Rosso

1. Tipologie e Uve del Vino DOC Capri

 

  • Capri Bianco (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • => 80% Vitigni Falanghina (minimo 50%) e Greco Bianco
  • =< 20% Vitigno Biancolella
  • => 11% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal colore giallo paglierino chiaro più o meno intenso, odore gradevole, caratteristico e sapore secco, fresco.

  • Capri Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 80% Vitigno Piedirosso
  • =< 20% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso, odore vinoso, gradevole e sapore asciutto, sapido.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Capri

L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Capri DOP Capri è ubicato nell’Isola di Capri, situata nel golfo di Napoli, tra la penisola sorrentino-amalfitana, Capo Miseno e le isole di Procida e Ischia.

La Zona di Produzione del Vino DOC Capri è localizzata in:

  • provincia di Napoli e comprende il territorio dell'Isola di Capri.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Capri

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOC Capri prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell’uva in vino DOC Capri non dovrà essere superiore al 70%. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.

4. Produttori di Vino DOC Capri

Con l’utilizzo della DOC Capri i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Capri

Zuppa di vongole, alici gratinate alla napoletana, caprese (mozzarella, pomodoro e basilico), carni rosse e bianche, pesce al sugo (polpo), minestre regionali, formaggi quali il provolone del monaco.


6. Storia e Letteratura del Vino DOC Capri

Il ruolo rivestito da Capri in epoca romana fu notevole. La svolta che segnò la storia dell'isola fu nel 29 a.C., quando Cesare Ottaviano, tornando dall'Oriente, sbarcò a Capri dove, secondo il racconto di Svetonio, una quercia vecchissima cominciò a dar segni di vita. Il futuro Augusto, interpretando questo come un segno favorevole, tolse Capri dalla dipendenza di Napoli (sotto la quale viveva dal 328 a.C.), dando in cambio la più grande e fertile isola di Ischia e facendola diventare dominio di Roma (Vitae Caesarum, 2, 92).

Fu così che la comunità greca presente a Capri venne a contatto con quella romana e l'isola iniziò la sua vita imperiale, diventando il soggiorno prediletto di Augusto e dimora di Tiberio per dieci anni, centro quindi della vita mediterranea di Roma.

Il vino era apprezzato dai romani e lodato dall’imperatore Tiberio che per la sua passione enologica, si era guadagnato il soprannome di Biberio.

Con la fine dell'epoca imperiale, Capri ritornò a far parte dello stato napoletano e iniziò a diventare il centro di scorrerie e di saccheggi da parte di pirati, ben motivati dalla posizione dell'isola sulla rotta fra Agropoli ed il Garigliano.

Nell'866 passa sotto il dominio di Amalfi. Seguirono poi le stesse dominazioni presenti nella vicina Napoli: Angioini, spagnoli, la costruzione del primo convento nel seicento, sino ad arrivare al periodo napoleonico in cui Capri fu coinvolta in scontri con gli inglesi.

Nei secoli sempre importante fu il ruolo destinato alle coltivazioni ed in particolare alla viticoltura.

Dalla seconda metà dell’ottocento Capri iniziò a prendere l’importanza turistica che ormai da decenni riveste, e che portò un ruolo sicuramente minore per l’agricoltura e in particolare per la vite, ma proprio il continuo afflusso di turisti ha portato il vino dell’isola ad essere conosciuto e apprezzato.

Attualmente le viti sono allevate, nel rispetto delle tecniche culturali tradizionali, su assolati ripiani a picco sul mare, con una produzione di vino in limitate quantità.

Il Vino DOC Capri ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di  Origine Controllata in data 7 settembre 1977.

CAMPI FLEGREI DOC

Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.M. 03.10.1994, G.U. 238 del 11.10.1994

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Campi Flegrei D.O.C.

La denominazione di origine controllata “Campi Flegrei” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti categorie e tipologie:

  1. Bianco
  2. Rosso
  3. Falanghina
  4. Piedirosso o Pér e palummo rosso
  5. Piedirosso o Pér e palummo rosso riserva
  6. Piedirosso o Pér e palummo rosato
  7. Piedirosso passito
  8. Falanghina passito
  9. Falanghina spumante

1. Tipologie e Uve del Vino DOC Campi Flegrei

 

  • Campi Flegrei Bianco (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • >< 50-70% Vitigno Falanghina
  • =< 50% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 10,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal colore paglierino più o meno intenso, odore vinoso, delicato e sapore fresco, secco, armonico.

  • Campi Flegrei Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 50% Vitigno Piedirosso
  • => 30% Vitigno Aglianico
  • =< 20% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso tendente al granato con l’invecchiamento, odore vinoso, gradevole, caratteristico e sapore asciutto, tipico, armonico.

  • Campi Flegrei Falanghina (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • => 90% Vitigno Falanghina
  • =< 10% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal colore paglierino più o meno intenso con riflessi verdognoli, odore delicato, gradevole, caratteristico e sapore secco, armonico, morbido.

  • Campi Flegrei Piedirosso (o Pér e Palummo) Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 90% Vitigno Piedirosso (o Pér e Palummo)
  • =< 10% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento, odore intenso, caratteristico e sapore asciutto, armonico.

  • Campi Flegrei Piedirosso (o Pér e Palummo) Rosato (Vino Rosato)
  • Versioni: Secco
  • => 90% Vitigno Piedirosso (o Pér e Palummo)
  • =< 10% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosato dal colore variabile da rosa tenue a rosa cerasuolo, odore intenso, complesso, fine, fruttato e sapore secco, morbido, fresco, sapido.

  • Campi Flegrei Piedirosso (o Pér e Palummo) Passito (Vino Rosso Passito)
  • Versioni: Secco /Abboccato /Amabile /Dolce
  • => 90% Vitigno Piedirosso (o Pér e Palummo)
  • =< 10% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 17% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso Passito dal colore colore rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento, odore intenso, gradevole,caratteristico e sapore dal secco al dolce, armonico, morbido, caratteristico.

  • Campi Flegrei Falanghina Spumante (Vino Bianco Spumante)
  • Versioni: Spumante Brut /Extra-dry
  • => 90% Vitigno Falanghina
  • =< 10% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Spumante dalla spuma fine e persistente, colore paglierino più o meno carico, odore delicato, caratteristico e sapore da brut a extradry.

  • Campi Flegrei Falanghina Passito (Vino Bianco Passito)
  • Versioni: Secco /Abboccato /Amabile /Dolce
  • => 90% Vitigno Falanghina
  • =< 10% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella provincia di Napoli
  • => 15% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Passito dal colore giallo dorato tendente all’ambrato, odore intenso, complesso, fine, vinoso e sapore dal secco al dolce, caldo, morbido.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Campi Flegrei

L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Campi Flegrei è situata nel settore centrale della Piana della Campania in cui insiste il complesso vulcanico dei Campi Flegrei, ad ovest della città di Napoli, che si distingue per essere un territorio tra i più ricchi in fatto di storia e bellezze naturalistiche. 

La Zona di Produzione del Vino DOC Campi Flegrei è localizzata in:

  • provincia di Napoli e comprende il territorio dei comuni di Procida, Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e, in parte, il territorio del comune Marano di Napoli.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Campi Flegrei

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOC Aversa prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell’uva in vino DOC Campi Flegrei non dovrà essere superiore al 70% e del 45% per le tipologie di Vino Passito.
  • Le pratiche enologiche di vinificazione prevedono, tra l'altro, che le etichette apposte sulle bottiglie dei Vini DOC Campi Flegrei devono obbligatoriamente riportare l’annata di produzione delle uve ad esclusione di quelle relative ai Vini Spumanti.

4. Produttori di Vino DOC Campi Flegrei

Con l’utilizzo della DOC Campi Flegrei i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Campi Flegrei

Il Campi Flegrei Falanghina si abbina con frutti di mare, anche crudi, pesce nobile e crostacei, alla griglia o salsati, frittura di triglie e impepata di cozze. Il Campi Flegrei Piedirosso o Per' è Palummo si abbina bene con la parmigiana di melanzane, mentre il Piedirosso o Per' è Palummo Passito, che è un vino da dessert, si accompagna con i dolci della gastronomia partenopea, come babà e sfogliatelle.


6. Storia e Letteratura del Vino DOC Campi Flegrei

I vitigni della zona flegrea esistono da centinaia d’anni e portano alla luce le loro antiche origini nei dintorni del lago d’Averno, dove sono coltivati ancora a “piede franco”. 

La fillosserica in quest’areale, non si è mai manifestata grazie alla tessitura e natura dei terreni vulcanici. Oggi viene coltivata nei luoghi della prima colonia ellenica, un territorio di matrice vulcanica e per questo dotato di grande ricchezza nutritiva.

Una fondata ipotesi è che l’origine del nome “Falanghina” è dovuta al tutore in legno di sostegno alla vite detto localmente “falanga”. Spesso si riscontrano i vecchi sistemi di allevamento a propagine lunga “metodo Puteolano” con piante secolari.

Il Vino DOC Campi Flegrei ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di  Origine Controllata in data 3 ottobre 1994.

AVERSA DOC

Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.M. 31.07.1993, G.U. 188 del 12.08.1993

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Aversa D.O.C.

La denominazione di origine controllata “Aversa”, seguita dal nome del vitigno Asprinio è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Aversa Asprinio
  2. Aversa Asprinio Spumante

1. Tipologie e Uve del Vino DOC Aversa

 

  • Aversa Asprinio (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Asprinio
  • =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nelle province di Caserta e Napoli
  • => 10,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal colore giallo paglierino più o meno carico, profumo intenso, fruttato, caratteristico, dal sapore secco, fresco, caratteristico.

  • Aversa Asprinio Spumante (Vino Bianco Spumante)
  • Versioni: Spumante Brut
  • = 100% Vitigno Asprinio
  • => 11% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Spumante Bianco dalla spuma fine e persistente, colore giallo paglierino più o meno intenso, profumo fine, fragrante, caratteristico e sapore secco, fresco, caratteristico.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Aversa

L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Aversa è situata in una pianura geologicamente omogenea posta a Nord dei campi Flegrei tra Orta di Atella ad Est, Casal di Principe a Nord, Villa Literno ad Ovest e Qualiano a Sud.

La Zona di Produzione del Vino DOC Aversa è localizzata in:

  • provincia di Caserta, il territorio dei comuni di Aversa, Carinaro, Casal di Principe, Casaluce, Casapesenna, Cesa, Frignano, Gricignano di Aversa, Lusciano, Orta di Atella, Parete, San Cipriano d’Aversa, San Marcellino, Sant’Arpino, Succivo, Teverola, Trentola – Ducenta, Villa di Briano e Villa Literno;
  • provincia di Napoli, il territorio dei comuni di Giugliano, Qualiano e Sant’Antimo.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Aversa

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOC Aversa prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell’uva in vino DOC Aversa non dovrà essere superiore al 70%; nel caso tali parametri venissero superati, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC, ma potrà essere riclassificata nelle tipologie Vini da Tavola o IGT.

4. Produttori di Vino DOC Aversa

Con l’utilizzo della DOC Aversa i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Aversa

Piatti a base di pesce: zuppe alla marinara, ostriche, crostacei e pizza. Fritti tipici della cucina campana: alici fritte, piccole anguille fritte, rane fritte, nonchè mozzarella di bufala in carrozza, primi piatti al sugo di pesce senza pomodoro.


6. Storia e Letteratura del Vino DOC Aversa

Secondo alcuni ampelografi in Puglia il vitigno riceverebbe il nome di “Olivese”, “Ragusano” e “Ragusano bianco”. Nelle aree aversane, maddalonese e casertana, invece, è ricorrente la denominazione di “Asprinio” – “Asprino” – “Uva Asprinia”. Più consona risulta, comunque, la terminologia di “Asprinio di Aversa”, la cui codificazione è ormai accettata dagli operatori agricoli dagli Enti locali preposti alla tutela ed alla valorizzazione della produzione viticola.

Secondo Giampaglia, il vitigno Asprinio deriverebbe dalla “tribù dei Pinot” e sarebbe stato introdotto nel Napoletano nel secolo scorso durante la dominazione francese. A sostegno di questa ipotesi vale la considerazione avallata dagli stessi agricoltori, secondo i quali, nel passato, l’uva asprinia veniva acquistata da commercianti francesi e ungheresi, per poi utilizzarla nella preparazione di vino spumante.

Altri sostengono che il vitigno in parola derivi direttamente dal “Greco” e ciò verrebbe confermato da quanto scriveva, nel 1804, Nicola Columella Onorati che elencando le principali varietà di uva che si coltivano nell’agro alifano, cosi si esprimeva: “L’uva asprinia, della quale varietà di uva bianca si fa il Greco in buona parte in Campania è conosciuta sotto il nome di Asprinio di Aversa”. Ma gli stessi cultori dell’epoca non sembrano condividere tali affermazioni, perché le differenze morfologiche tra “Greco” ed “Asprinio” risulterebbero tali da non lasciare alcun dubbio.

Secondo notizie tramandate da Sante Lancerio, cantiniere di S.S. Papa Paolo III Farnese, la coltura del vitigno risalirebbe agli inizi del ‘500, cioè in un’epoca anteriore alla dominazione francese. Infatti, ne “I Viaggi di Papa Paolo III”, il Lancerio dice che S.S. usava l’Asprinio come bevanda dissetante servendosene prima di coricarsi. Lo stesso autore facendo le lodi a questo vino “diuretico” dice che il migliore è quello di Aversa, apprezzato dai commercianti perché “li cortigiani et cortigiane corrono volentieri alla foglietta” (la “foglietta” è una misura di capacità del vino, circa mezzo litro).

Anche la tradizione popolare vuole far risalire la coltivazione dell’Asprinio nella zona ai primi del ‘500. Si vuole, ma senza alcuna prova storica, che Luigi XII di Valais, Re di Francia detto “Padre del Popolo” (nato a Blais 1462 – morto a Parigi 1515), disceso nella penisola italiana all’inizio del 1500 ed impadronitosi prima del Ducato di Milano e quindi del Regno di Napoli che, poi, dovette cedere agli Spagnoli (1504), importasse dalla Francia una certa quantità di vitigni che, avendoli fatti mettere a sito nelle terre del Casertano, ne ottenne l’Asprinio.

A convalidare l’antichità di questo gradevole prodotto enologico va ricordato che da un “Assisa del vino” in data 15 febbraio 1640 risulta che il prezzo dell’Asprinio era di denari nove la caraffa, (la “caraffa” equivalente a trentatre once di liquido, poco meno di un litro). Questo tipico prodotto partenopeo che, forse, aveva in un certo qual modo colpito l’attenzione della moglie del Re Gioacchino Murat, portò la Regina Carolina a scrivere in una lettera: “Questa e la terra promessa, nella campagna si vedono festoni di viti attaccati agli alberi con sparsi grappoli di uva assai più belli di quelli che gli Ebrei portarono a Mosè.

Spero che quanto ti dico ti ispiri il desiderio di venire a vedere questo paese, vale la pena di fare cinquecento leghe per vederlo.” Non si può escludere che la principessa napoleonica fosse stata attratta proprio dal vitigno Asprinio allevato secondo il sistema classico ad alberata, detto anche “Sistema Aversano”. E poiché, se è vero, che tutto torna alle origini giova ricordare che dall’Asprinio si ottennero i primi spumanti secchi che, prodotti con le più pregiate uve dei Siti Reali dell’aversano, trovarono favorevole accoglienza nella vicina Francia.

Pare che lo stesso Garibaldi lo abbia apprezzato in una rustica colazione dopo la battaglia del Volturno. Diversamente dagli altri il Redi evidenzia , con un certo dispregio, la caratteristica acidità del Vini Asprinio, definendolo “bevanda agreste”: ma, ricorda il Monelli, forse per ripicca a seguito di contrasti con l’Avvocato napoletano Francesco d’Andrea.

Rendella, a sua volta, riferisce di un vino Asprinio facile a digerirsi, ma poco serbevole per cui ne consiglia il consumo prima dei forti calori estivi, raccomandandone la conservazione in grotte scavate nel tufo a profondità di 15-20 metri, affinché la temperatura si mantenga costantemente bassa.

In queste cantine, tutt’ora esistenti, il vino si conserva bene e si presenta frizzante a causa dell’anidride carbonica che si svolge dalla fermentazione lenta che, favorita dall’ambiente fresco, si dissolve facilmente nella massa.

Da rilevare, la testimonianza di Vincenzo Sammola, secondo il quale il maggior consumo di vino a Napoli era appannaggio del tipo rosso mentre “solo nell’estate avanzata” la preferenza era accordata al vino bianco “Asprinio di Aversa”.

Nel 1839 nel suo “Corricolo”, interessante tra l’altro per una classificazione delle pizze d’epoca, Alessandro Dumas, definì l'Asprinio come l’unico vino capace di andar bene con la pizza e gli spaghetti. Il Bruno Bruno, invece lo definisce atto su lucci e anguille, riportando un giudizio di Veronelli, che è rimasto affascinato dall’Asprinio di Aversa: “Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in campagna da un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’ Asprinio era eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile, elegante. Quello che mi fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare.

L’Asprinio di Aversa sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato”. È questo è l’obiettivo che si prefigge la proposta di conferimento della Denominazione di Origine Protetta per il vino “Asprinio di Aversa”, dare dignità ed un futuro ad un vino di grande pregio e tradizione.

La DOC Aversa è stata riconosciuta con Decreto ministeriale del 31 luglio 1993.

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