Assovini
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E’ stata la prima strada del vino in Lombardia a partire perfettamente in regola ed è dedicata ai prestigiosi vini di una delle due Docg della regione, la Franciacorta, che comprende vini bianchi e rosati.

Si snoda su un percorso di circa 80 chilometri, chiuso a est dal fiume Oglio e a ovest dalla città di Brescia. Da Mandolossa, alle porte del capoluogo, percorre le colline, toccando numerosi centri fino a raggiungere Sàrnico, sul lago d’Iseo.

Si incontra tutta la storia della Lombardia lungo il percorso, immersa nei curatissimi vigneti: insediamenti palafitticoli, resti di ville romane e di insediamenti longobardi, paesi medioevali, mura merlate di castelli ghibellini, palazzi fortificati della prima età moderna, ville signorili, case padronali dagli imponenti porticati.

La zona collinare dove si produce il San Colombano DOC Rosso e Bianco è l’unica collina a sud di Milano ed è da sempre coltivata a vigneti. Il San Colombano DOC è l’unico vino a denominazione d’origine controllata prodotto in provincia di Milano e Lodi. La formazione geopedologica della collina favorisce la produzione di ottimi vini Rossi anche da lungo affinamento e di Bianchi freschi e vivaci.

Le cantine associate alla Strada del Vino San Colombano e dei Sapori Lodigiani offrono la possibilità di visitare i luoghi di produzione e di passeggiare tra i vigneti per capire il processo di trasformazione dell’uva in vino. Le visite sono accompagnate da degustazioni delle varie tipologie di vino, abbinate ai prodotti tipici lodigiani. Vi è anche la possibilità di realizzare pranzi o cene in compagnia del vignaiolo. Oltre alle cantine è possibile visitare il borgo di San Colombano con l’insigne castello di Federico I detto il Barbarossa.

Già nella denominazione si leggono le caratteristiche della morfologia del territorio interessato e le ricchezze delle colture valorizzate. In questa zona della regione, infatti, la catena delle Alpi si spinge fin quasi a ridosso della costa, e coltivazioni mediterranee, come quella degli ulivi, sono presenti in modo non sporadico accanto a una vegetazione di montagna, come i castagni, che formano un fitto manto boscoso.

La strada si snoda nella Riviera ligure di Ponente partendo dall’Altopiano delle Mànie, la parte più elevata dell’entroterra finalese in direzione di Noli. Risale sulle colline lungo la Valle Arroscia in direzione ovest, e arriva al Colle di Nava. Il percorso costituiva una delle importanti “vie del sale”, che dalla costa permettevano, nel passato, il trasporto di questo prodotto indispensabile fino alle località alpine e padane che ne erano prive. Numerosi paesi, borghi storici, castelli, chiese si susseguono lungo le strade della valle, a testimoniare un’antica civiltà, ancora custodita nelle abitudini della vita sociale ed economica, nelle architetture delle case di pietra, nelle strade lastricate, nei portici che accolgono e proteggono.

L'itinerario offre anche frequenti incontri con l’artigianato tradizionale del ferro battuto, del legno, del vetro, della pietra. Alla varietà dei paesaggi e dei sapori, legati anche all’allevamento, si affianca una grande varietà di vitigni, fra i quali l’Ormeasco, figlio di un Dolcetto di chiare ascendenze piemontesi giustificate dalla posizione geografica della Doc ligure, e il Rossese, che resta circoscritto in quest’area.

Come in tutta la Liguria, lungo questa Strada vigneti di una certa estensione si possono incontrare solo nei fondivalle e sugli altipiani; la dimensione consueta della vigna è, infatti, anche qui, quella della fasce, su cui possono svilupparsi poche piante nei filari limitati dallo scarso spazio a disposizione. Per quanto riguarda le tecniche colturali perpetuate dalla tradizione, molto spesso il sostegno dei tralci era realizzato attraverso una successione continua di pali grezzi con biforcazioni in alto, senza che venissero tesi fili tra i sostegni verticali, a volte uniti fra loro da un altro palo o da una canna trasversale: una conferma del carattere persistente di autoalimentazione che l’economia agricola dell’entroterra ligure non si rassegna ad abbandonare.

La lettura del paesaggio evoca, infatti, un’agricoltura produttrice di materie prime un tempo garanzia di autonomia e di sopravvivenza: olio, vino, ortaggi, frutta, erbe aromatiche, piccolo allevamento. Oggi non solo queste produzioni non sono state abbandonate, ma sono divenute il simbolo raffinato di un ambiente e di una cucina capaci di esportare le suggestioni, i profumi e i sapori che li hanno resi unici.

I Colli Albani sono costituiti dai resti di un imponente apparato vulcanico che ebbe il suo periodo di attività nel corso del Quaternario. Il susseguirsi delle diverse fasi esplosive iniziò circa 700.000 anni fa. L’edificio vulcanico occupa un’area di 1.500 chilometri quadrati, e il disegno preciso di un cratere lo recinta con un diametro di 30 chilometri.

Un unico grande vigneto segue le ondulazioni delle pendici e delle sponde dei laghi che hanno riempito i crateri vulcanici spenti. Da molti secoli sono l’elemento essenziale e caratteristico del paesaggio della regione, pur nel variare delle tecniche di allevamento.

Recandosi a Roma per la Via Appia, un ambasciatore di Pirro, re dell’Epiro, osservava con disprezzo le viti maritate agli alberi: gli sembravano madri sacrificate da un figlio malvagio, il vino, che le aveva crocifisse. Era il III secolo a.C. Ormai superata è oggi anche un’altra tecnica in uso all’inizio del Novecento. Era detta “a conocchiastra”, a somiglianza dello strumento usato per filare la lana: quattro viti, piantate agli angoli di un immaginario quadrato, erano sostenute da canne legate insieme al vertice.

Il progetto che ha motivato l’istituzione di questa Strada mira a tutelare e a valorizzare le grandi ricchezze che il territorio offre: la storia e l’arte dei centri urbani, le bellezze naturalistiche, i prodotti dell’agricoltura e della gastronomia locali che hanno conservato integralmente le peculiarità della tradizione. Fra queste, grande rilievo assumono i vini famosi dei Colli Albani, tutelati dalle sette Doc del comprensorio: Colli Albani, Colli Lanuvini, Frascati, Marino, Montecompatri, Velletri, Zagarolo. Sono testimonianza della diffusione della vite, e della peculiarità dei terreni di origine vulcanica, che danno l’impronta minerale soprattutto ai bianchi, caratterizzati da acidità sostenuta. Le notevoli differenze fra i numerosi vini derivano, tuttavia, anche dalla presenza di argille e di giacimenti tufacei, e dai differenti microclimi che si determinano sull’area.

L’itinerario si articola in diverse direzioni servite da strade e da vie storiche, che conducono a numerose località: la via dei Laghi tocca Marino, Castelgandolfo e Nemi; la via Appia arriva ad Albano Laziale, a Genzano di Roma e a Velletri; la via Tuscolana è diretta a Frascati e a Monte Porzio Catone; la via Anagnina a Grottaferrata; la via Casilina a Colonna, Montecòmpatri e a Zagarolo.

Il territorio e i centri grandi e piccoli sono straordinariamente ricchi di antiche presenze archeologiche, di storia e di leggende, di tradizioni e di cultura.

Aveva una grande passione per le navi l’imperatore Cesare Augusto Germanico, detto Caligola. Il nome con cui è a tutti noto è quello dei piccoli calzari che, a imitazione delle caligae dei soldati, indossava da bambino in Germania, dove aveva seguito il padre nelle guerre di conquista. A dar retta a Svetonio, “Terme, portici, ampie sale da pranzo e perfino varie qualità di vigne e di piante da frutto” trasformavano in sontuosi ambienti urbani e in ameni paesaggi agricoli le navi “a dieci ordini di remi, con la poppa ornata di pietre preziose e con le vele a colori cangianti”, sulle quali amava navigare tra feste e banchetti lungo le coste del mare nostrum. Due splendidi esemplari di queste imbarcazioni erano lasciate all’ancora sulle acque del lago di Nemi, destinate a riti e feste in onore di Diana. Quando, nel 41, prese il potere il suo successore Claudio, erano già affondate.

Per quasi due millenni il fango del lago protesse la straordinaria perfezione tecnica e le ricche sovrastrutture murarie delle imbarcazioni. Oggetto per secoli di saccheggi e razzie e di inutili quanto distruttivi sforzi per sottrarle alle acque, emersero nel 1931 dal cratere, parzialmente prosciugato con una titanica impresa. Ma il 31 maggio 1944 le truppe naziste in fuga distrussero con il fuoco i due gioielli d’arte e di ingegneria, che non ebbero e non avrebbero avuto epigoni. Il Museo allestito per loro sulle sponde del lago custodisce i reperti sopravvissuti al rogo: un rubinetto di bronzo, trovato ancora funzionante, pompe, piattaforme girevoli, ruote dentate, àncore; e i bronzi di rivestimento delle travi, con teste di leone, di lupo, di pantera, di medusa, e commoventi e inutili mani apotropaiche. Nel territorio, il tracciato della Via Appia Antica scompare e riappare in diversi tratti facendo emergere l’antico basolato. Sale di quota, mostra le torri di vedetta, attraversa antiche porte.

Giunta ad Albano Laziale, svela le ricche testimonianze preziose: ville suburbane imperiali, come la villa di Pompeo Magno, e strutture legate al passato di Castra Albana, di cui rimangono visibili l’Anfiteatro, il Cisternone, fatto costruire da Settimio Severo e utilizzato ancora oggi, l’edificio termale del castrum, già ninfeo di una villa romana dell’età di Domiziano e oggi chiesa di Santa Maria della Rotonda, le Terme di Cellomaio, parzialmente inglobate nella chiesa di San Pietro.

A Velletri aveva avuto origine la famiglia Ottavia. In una casa “modesta e molto simile a una cucina” il futuro imperatore Augusto passò l’infanzia. Il Museo Civico Archeologico conserva reperti romani, la Cattedrale e la Torre del Trivio testimoniano l’importanza che la città ha conservato nei secoli. I vigneti della Doc Velletri abbracciano il territorio e si estendono a sud fino al comune di Cisterna Latina. Come in tutte le località attraversate dalla Strada, nel periodo della vendemmia vi si svolge la “Festa dell’uva e del vino”, che premia e consola i produttori e diffonde la conoscenza dei prodotti del territorio, sempre più ricercati e apprezzati. Riti più recenti e profani si celebrano oggi, come quello in occasione del ritorno della primavera, che vede sorgere a Montecompatri le antiche “fraschette”, le osterie con ramo verde come insegna, panche, tavolacci e botte monumentale.

A Monte Porzio Catone, il Museo diffuso del vino conserva, in un insieme di esposizioni con ambientazioni diverse, attrezzi e strumenti della tradizione contadina e del mondo del vino. Nei dintorni della cittadina, Telegono fondò Tusculum, culla della civiltà latina. Era il figlio di Ulisse e di Circe, la maga seduttrice. Il mito e il mistero aleggiano nel sito archeologico, che fu raffinato luogo di villeggiatura degli imperatori romani, nei luoghi dove sorgevano il Santuario di Diana, del IV secolo a.C., circondato dal bosco sacro, e quello di Giove, uno dei più antichi complessi sacrali latini, a cui conduceva la Via Sacra. Risale al III-IV secolo la catacomba Ad Decimum, scoperta nel 1905 a Grottaferrata, lungo la via Anagnina che scende verso Roma; il suggestivo cimitero sotterraneo paleocristiano si sviluppa in cinque gallerie e i loculi sono in gran parte ancora intatti.

Zagarolo, adagiata su un pianoro tufaceo che sorge tra due valli, deve, forse, il nome a un’attività artigianale diffusa nel suo territorio in epoca romana. Era il Sagariorum vicus, il centro specializzato per la produzione del sagum, il mantello dei soldati romani, e sagarii erano chiamati gli artigiani che si dedicavano alla particolare confezione.

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