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TAURASI DOCG

Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita - Approvato DOC con D.P.R. 26.03.1970, G.U. 129 del 25.05.1970 - Approvato DOCG con D.M. 11.03.1993, G.U. 72 del 27.03.1993

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Taurasi D.O.C.G.

La Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Taurasi”, è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Rosso
  2. Rosso Riserva

1. Tipologie e Uve del Vino DOCG Taurasi

 

  • Taurasi Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Aglianico
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Avellino
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rubino intenso tendente al granato fino ad acquistare riflessi arancioni con l’invecchiamento, odore caratteristico, etereo, gradevole più o meno intenso e dal sapore asciutto, pieno, armonico, equilibrato, con retrogusto persistente.

  • Taurasi Rosso Riserva (Vino Rosso Invecchiato)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Aglianico
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Avellino
  • => 12,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rubino intenso tendente al granato fino ad acquistare riflessi arancioni con l’invecchiamento, odore caratteristico, etereo, gradevole più o meno intenso e dal sapore asciutto, pieno, armonico, equilibrato, con retrogusto persistente.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOCG Taurasi

L’orografia collinare del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati ad Sud-Est/Sud-Ovest, e localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento equilibrato di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.

La Zona di Produzione del Vino DOCG Taurasi è localizzata in: 

  • provincia di Avellino e comprende il territorio dei comuni di Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemileto, Paternopoli, Pietradefusi, Sant’Angelo all’Esca, San Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOCG Taurasi

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOCG Taurasi prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70% al primo travaso e non dovrà superare il 65% dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio.
  • Il vino Taurasi Rosso deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno tre anni di cui almeno uno in botti di legno.
  • Il vino Taurasi Rosso Riserva deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno quattro anni, di cui almeno diciotto mesi in botti di legno.
  • È consentita l’aggiunta, a scopo migliorativo, di vino Taurasi "più giovane" a identico Taurasi "più vecchio", o viceversa, nella misura massima del 15%.

4. Produttori di Vino DOCG Taurasi

Con l’utilizzo della DOCG Taurasi i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOCG Taurasi

Lasagna napoletana, Agnello al forno con patate. Il Rosso Riserva si abbina carni rosse e scure, arrosti e formaggi pecorini stagionati e piccanti.


6. Storia e Letteratura del Vino DOCG Taurasi

L’Aglianico di Taurasi, vitigno antichissimo, probabilmente originario della Grecia viene introdotto in Italia intorno al VII-VI secolo a.C.. Non ci sono certezze sulle origini del nome, che potrebbero risalire all’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Lucania, o essere più semplicemente una storpiatura della parola Ellenico secondo cui il nome originario (Elleanico o Ellenico) divenne Aglianico durante la dominazione aragonese nel corso del XV secolo, a causa della doppia l pronunciata "gli" nell’uso fonetico spagnolo.

Il nome del vino trae origine dalla storica e antica l’arx Taurasia, una delle ventuno città-campagna fondate dagli irpini, popolazione federata ai sanniti. L’arx non è una vera e propria città, poiché è esclusivamente sede del mercato, sito deputato all’amministrazione della giustizia, alla celebrazione dei sacrifici, luogo di raduno in tempo di pace e di ricovero dalle offese nemiche in caso di guerra, gli abitanti, invece, vivono sparsi nel territorio circostante, raggruppati nei vici e nei pagi, cui corrispondono le attuali frazioni e i casali, collegati mediante numerose strade, che popolano le colline del Calore e che sono, ancor’oggi, attuale area produttiva del Taurasi.

Taurasi è fulcro di avvenimenti storici significativi, distrutta e ricostruita più volte nel corso della sua storia. Sarà distrutta dai Romani nel 268 a.C e qui e nei circostanti Campi Taurasini (“Ager Taurasinus”), nel II secolo a.C.. i romani deportano i liguri apuani – popolazione di stirpe celtica - che qui, trovando zone molto fertili, riprendono la coltivazione dei campi e della vite cosiddetta “greca” largamente coltivata dalle popolazioni native annientate. Nel 42 a.C., dopo la battaglia di Filippi in Macedonia, il territorio di Taurasia è assegnato ai soldati romani veterani che vinificano la “vitis ellenica” da loro portata dalla Macedonia.

Sotto Augusto, dopo che le terre dei campi taurasini erano state distribuite a schiere di veterani, sono realizzate una serie di opere civiche e intensificata la rete stradale, per assicurare sicurezza e fornire nuovo impulso all’agricoltura. Le popolazioni Irpine ritornano a dedicarsi all’agricoltura e alle industrie e Taurasi diviene un importante centro agricolo - produttivo assumendo, come testimoniano Tito Livio, Plinio il Vecchio, Strabone o Cluverio, un ruolo strategico economico-militare di primaria importanza. ubicata quasi al centro dell’altipiano irpino individuato a oriente da Aeclanum, a nord da Cluvia (Fulsula – odierna Montefusco), a nord-est da Maleventum, a sud-est da Aquilonia, Romules e Trivicum e posta a 1,5 km circa dalla sponda destra del fiume Calore. Questa area, tutt’oggi, è l’immutata area dei Campi Taurasini e corrisponde all’area produttiva del vino Taurasi.

Testimonianza storico-letterarie sulla presenza della vite e, in particolar modo, del vitigno Aglianico nell’attuale area produttiva del Taurasi è data da Tito Livio, nel suo Ab Urbe Condita, che descrive una “Taurasia dalle vigne opime” fornitrice di ottimo vino per l’Impero,dove si allevava la vite Greca o Ellenica. Risale al 1167 d.C. il primo documento, a oggi, conosciuto nel quale è citato che la vite coltivata in Taurasi viene chiamata dagli Spagnoli “Aglianica”; e furono gli spagnoli che, a causa della loro pronuncia, trasformarono il nome della vite Ellanico o Ellanico in Aglianico. Nel 1898 lo Strafforello scrive: ”Nelle buone annate il vino è assai copioso e molto se ne esporta nelle province limitrofe, principalmente col nomi di vino “Taurasio” ed altri. Il migliore si raccoglie nei Comuni di Taurasi”. La rinascita moderna del Taurasi fa data al XIX secolo, quando i vini Irpini diventano il supporto e la salvezza per i tanti produttori di vino del nord Italia e Francia, i cui vigneti erano stati distrutti dal flagello fillosserico. A Taurasi la “Ferrovia del vino” era così chiamata a causa della gran quantità di vino che partiva dallo scalo verso il Nord del paese e soprattutto Bordeaux.

Alla fine del secolo scorso, nel 1878, la lungimiranza e la grande cultura di Francesco De Sanctis avevano portato alla costituzione dell’Istituto Agrario di Avellino ad indirizzo Enologico e questa scelta ha fatto si che la straordinaria potenzialità varietale e tecnologica non andasse perduta, ma salvaguardata e valorizzata e a tutt’oggi l’Istituto sforna esperti agronomi ed enologi, i quali, innestando, potando, solforando le viti e vinificando personalmente, hanno salvaguardato un patrimonio ampelografico che ancora oggi resta quasi sconosciuto. La vite divenne in Irpinia la più importante fonte di ricchezza della porvincia (A. Valente) e occupava 63.000 ettari di cui oltre 2000 in coltura specializzata (F. Madaluni 1929). Nel 1934, A.Iannaccone nei “Vini dell’Avellinese”: “appare evidente che l’industria vinicola rappresenta un’attività agraria d’importanza grandissima da cui ripente la floridezza economica di numerosi paesi della provincia”.

Nel 1970, il Catasto Viticolo, dopo la distruzione fillosserica ,una guerra mondiale e la ricostruzione, conferma che gli ettari di Aglianico impiantati in Irpinia e in prevalenza nell’agro Taurasino ammontino ad oltre 4.80 in coltura specializzata e circa 1800 in coltura consociata. Nello stesso periodo però, con una presa di coscienza che imprime una svolta epocale alla produzione viticola Irpina, cominciano a sorgere le prime cantine di imbottigliamento, che nel corso degli anni hanno portato in giro per il mondo la qualità e la grande tipicità dell’uva Aglianico.

GRECO DI TUFO DOCG

Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita - Approvato DOC con D.P.R. 26.03.1970, G.U. 130 del 26.05.1970 - Approvato DOCG con D.M. 18.07.2003, G.U. 180 del 05.08.2003

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Greco di Tufo D.O.C.G. 

La Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Greco di Tufo”, è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Bianco
  2. Spumante

1. Tipologie e Uve del Vino DOCG Greco di Tufo

 

  • Greco di Tufo Bianco (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Greco bianco
  • =< 15% Vitigno Coda di Volpe bianca
  • => 11,50% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal colore giallo paglierino più o meno intenso, odore gradevole, intenso, fine, caratteristico e dal sapore fresco, secco e armonico.

  • Greco di Tufo Spumante (Vino Bianco Spumante)
  • Versioni: Spumante Extra-brut /Brut
  • => 85% Vitigno Greco bianco
  • =< 15% Vitigno Coda di Volpe bianca
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Spumante dalla spuma fine e persistente, colore giallo paglierino più o meno intenso con riflessi verdognoli o dorati, odore caratteristico, gradevole, con delicato sentore di lievito e dal sapore sapido, fine e armonico, del tipo "extrabrut" o del tipo "brut".

2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOCG Greco di Tufo

L’orografia collinare del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati ad Sud-Est/Sud-Ovest, e localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento equilibrato di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta.

La Zona di Produzione del Vino DOCG Greco di Tufo è localizzata in:

  • provincia di Avellino e comprende il territorio dei comuni di Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOCG Greco di Tufo

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOCG Greco di Tufo prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell'uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore al 70%. Nella vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti, atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche.
  • Il vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Greco di Tufo” può essere elaborato nella tipologia "Spumante" con il metodo della rifermentazione in bottiglia (metodo classico) purché affinato per almeno 36 mesi in bottiglia.

4. Produttori di Vino DOCG Greco di Tufo

Con l’utilizzo della DOCG Greco di Tufo i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOCG Greco di Tufo

Crostacei bolliti, risotto ai funghi porcini, dentice al rosmarino e olio di oliva, sformati di verdura e formaggi giovani e molli. La versione Spumante, vivace e delicata, accompagna i primi piatti più ricercati della cucina marinara: dalle aragoste alla cardinale, al baccalà alla napoletana, pesci alla griglia e calamari in umido.


6. Storia e Letteratura del Vino DOCG Greco di Tufo

La viticoltura nell’area di produzione del Greco di Tufo ha origini antichissime che risalgono alle popolazioni locali e successivamente all’arrivo di colonizzatori greco–micenei i quali diedero primo impulso alla millenaria coltivazione della vite nell’antico Sabazios, poi ripresa dagli etruschi.

Il vitigno più antico dell'Avellinese è senza dubbio il Greco di Tufo, da cui si ricava l'omonimo vino, importato dalla regione greca della Tessaglia, dai Pelagi. La conferma dell'origine millenaria di questa vite è data dal ritrovamento a Pompei di un affresco risalente al I secolo a.C. dove si menziona esplicitamente il "vino Greco".

La coltivazione del vitigno Greco fu diffusa all'inizio sulle pendici del Vesuvio e successivamente in altre zone della in provincia di Avellino, dove prese il nome di Greco di Tufo. Il suo nome “Greco” ci dichiara apertamente le origini geografiche e storiche, in principio era chiamato Aminea Gemina: Aristotele riteneva che il vitigno delle Aminee arrivasse dalla Tessaglia, terra di origine degli Aminei, popolo che colonizzò la costa napoletana ed impiantò questo pregiato vitigno sui pendii fertili del Vesuvio. Ne testimonia la remota presenza sul vulcano un affresco ritrovato nell’antica Pompei risalente al I secolo a.c., dove viene chiaramente nominato il vino “greco”. Plinio il Vecchio invece ne conferma il pregio scrivendo “ In verità il vino Greco era così pregiato che nei banchetti veniva versato una sola volta”.

Nel corso del tempo, l’antico popolo ellenico si spinse verso l’interno della Campania e l’Aminea Gemina (gemina sta per gemella in quanto produceva numerosi grappoli doppi) raggiunse l’ Irpinia, zona notoriamente vocata per la produzione di vini di qualità. Scrittori come Catone, Varrone, Virgilio, Plinio e Columella lodavano la fertilità di queste viti che si distinguevano non solo per la qualità del prodotto ma anche per la costanza di produzione, tanto che, si legge in Columella, da un pergolato, pare, si potessero ottenere cinquanta litri di vino per ciascun ceppo. Lo stesso autore vissuto all’inizio dell’era cristiana, proprietario e coltivatore, descrisse cinquanta vitigni e fra questi dette maggior risalto alle viti Aminee che annoverò tra le più produttive.

FIANO DI AVELLINO DOCG

Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita - Approvato DOC con D.P.R. 27.04.1978, G.U. 241 del 29.08.1978 - Approvato DOCG con D.M. 18.07.2003, G.U. 180 del 05.08.2003

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche riportate in G.U. n. 298 del 16.12.2021


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Fiano di Avellino D.O.C.G.

La Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Fiano di Avellino”, è riservata al vino bianco che risponde alle condizioni e ai requisiti stabiliti dal disciplinare di produzione per la seguente tipologia:

  1. Fiano di Avellino
  2. Fiano di Avellino Riserva
  3. Fiano di Avellino Spumante
  4. Fiano di Avellino Spumante Riserva

1. Tipologie e Uve del Vino DOCG Fiano di Avellino

 

  • Fiano di Avellino (Vino Bianco)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Fiano
  • =< 15% Vitigni Greco Bianco, Coda di Volpe Bianco e Trebbiano toscano Bianco da soli o congiuntamente
  • => 11,5% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco dal Colore giallo paglierino più o meno intenso; Odore gradevole, intenso, fine, caratteristico; Sapore fresco e armonico.

  • Fiano di Avellino Riserva (Vino Bianco Invecchiato)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Fiano
  • =< 15% Vitigni Greco Bianco, Coda di Volpe Bianco e Trebbiano toscano Bianco da soli o congiuntamente
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Riserva, dal Colore giallo paglierino più o meno intenso; Odore gradevole, intenso, fine; Sapore secco, fresco, armonico.

  • Fiano di Avellino Spumante (Vino Bianco Spumante)
  • Versioni: Pas-dosè /Brut-nature /Extra-brut /Brut /Extra-dry /Dry /Demi-sec /Doux
  • => 85% Vitigno Fiano
  • =< 15% Vitigni Greco Bianco, Coda di Volpe Bianco e Trebbiano toscano Bianco da soli o congiuntamente
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Spumante, dalla Spuma fine e persistente; Colore giallo paglierino più o meno intenso con riflessi verdognoli, Odore caratteristico, gradevole, con delicato sentore di lievito; Sapore fine e armonico, da dosaggio zero a dolce.

  • Fiano di Avellino Spumante Riserva (Vino Bianco Spumante Invecchiato)
  • Versioni: Pas-dosè /Brut-nature /Extra-brut /Brut /Extra-dry /Dry /Demi-sec /Doux
  • => 85% Vitigno Fiano
  • =< 15% Vitigni Greco Bianco, Coda di Volpe Bianco e Trebbiano toscano Bianco da soli o congiuntamente
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Bianco Spumante Riserva, dalla Spuma fine e persistente, Colore giallo paglierino più o meno intenso; Odore caratteristico, gradevole, con delicato sentore di lievito; Sappore fine e armonico, da dosaggio zero a dolce.

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(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOCG Fiano di Avellino

L’orografia collinare del territorio di produzione e l’esposizione prevalente dei vigneti, orientati ad Sud-Est/Sud-Ovest, e localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all’espletamento equilibrato di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità. La tradizione viticola di questa area ha radici profonde e consolidate da un notevole e continuo apporto tecnico scientifico e da un impegno esemplare dei produttori che, con costanti risultati colturali e tecnologici di rilievo, hanno contribuito a migliorare la qualità e a diffondere ed a far affermare i vini Fiano di Avellino sui mercati nazionali e internazionali.

La Zona di Produzione del Vino DOCG Fiano di Avellino è localizzata in:

  • provincia di Avellino e comprende il territorio dei comuni di Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino.

Per il Vino DOCG Fiano di Avellino si individuano 4 "Terroir" di elezione dove le caratteristiche varietali del vitigno Fiano si esprimono, seguendo un comune filo conduttore, con accenti e sfumature peculiari a seconda di altimetria, esposizioni e composizione dei terreni.

1) Lapio: si ottengono vini ricchi di struttura in grado di esprimere doti non comuni di acidità e mineralità. La spiccata connotazione aromatica, poi, fa sì che i vini Fiano di Avellino ottenuti in queste zone assomiglino non di rado a veri e propri vini di montagna.

2) Summonte: terreni difficili da lavorare, tuttavia i vini offrono concentrazione e potenza con notevole corredo fruttato e poco minerale.

3) Montefredane: collina arigllosa e cretosa che esalta le note minerali che caratterizzano vini di ottima longevità ormai dimostrata.

4) Fascia collinare ad est di Avellino: non può identificarsi con un solo comune essendo numerosi i centri interessati alla produzione. Qui i terreni sabbiosi regalano note tipiche di nocciola tostata che richiamano un carattere affumicato di origine non minerale. 


3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOCG Fiano di Avellino

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOCG Fiano di Avellino prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima dell'uva in vino finito, pronto per il consumo, non deve essere superiore al 70%.
  • L'arricchimento dei mosti o dei vini aventi diritto alla denominazione di origine controllata e garantita Fiano di Avellino deve essere effettuato alle condizioni stabilite dalle norme comunitarie e nazionali.

4. Produttori di Vino DOCG Fiano di Avellino

Con l’utilizzo della DOCG Fiano di Avellino i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOCG Fiano di Avellino

Crostacei alla griglia, scampi salsati, polpo alla napoletana, primi piatti al sugo di pesce e verdure, pesci di mare pregiati al forno, filetti di rombo al vino con tartufo bianco, formaggi giovani.

Il Fiano di Avellino rappresenta la punta di diamante dell'enologia bianca meridionale: acidità e finezza sono le due caratteristiche che lo rendono appetibile per la grande massa dei consumatori mentre gli appassionati lo apprezzano per la sua incredibile propensione all'invecchiamento.


6. Storia e Letteratura del Vino DOCG Fiano di Avellino

La viticoltura nell’area di produzione del Fiano di Avellino ha origini antichissime che risalgono alle popolazioni locali e successivamente all’arrivo di colonizzatori romani i quali diedero primo impulso alla millenaria coltivazione della vite nell’antico Sabazios e delle popolazioni native locali. Antico vitigno meridionale, la cui coltivazione risale all’epoca romana. Si ritiene originario della zona di Lapio, sulle colline ad est di Avellino anticamente chiamata Apia.

II frate Scipione Bella Bona, nel 1642, nei suoi "Raguagli della città di Avellino", scriveva: "In detti tempi in tre luoghi tre Castelli per difesa della lor città teneuano I'Auellinesi, uno doue è hora Monteforte; onde fu poi edificata la terra, e quasi da quei primi secoli di pace: l'altro nel Monte chiamato Serpico, doue parimente furono fatti edifici, e fatta Terra da per sé, nelli suoi tenimenti edificati S. Stefano, e Sorbo, come si disse; ed il terzo, cue è ora I'Apia, vicino al Monastero di S. Maria dell'Angioli nel luogo detto gli Mormori.

In quel luogo, e quasi in tutto il territorio d'Avellino si produceva il vino detto Apiano, do' Gentili Scrittori lodato, e tanto in detto luogo, quanto in questa Città sin hora vi si produce, e per corrotta fauella chamato Afiano, e Fiano; il nome d'Apiano, dall'Ape, che se mangianolluve, gli fu dato".

Così il termine "Fiano" deriverebbe da "Apiana", uva già conosciuta e decantata dai poeti latini. Tale termine avrebbe subito modificazioni nel tempo, trasformandosi in "Apiano" prima, "Afianti" poi e, successivamente, "Fiano".

Fonti fanno risalire l’origine del termine "Apiano" dall'area agricola "Apia", l’odierna Lapio; come pure si fa rilevare che la parola "Apiano" può derivare da "Api", tenendo conto della facilità con cui le api, attratte dalla dolcezza degli acini, attaccano il grappolo. Se l'antica Lapio era il principale centro di produzione, Montefusco rappresentava il mercato più importante, in quanto era capitale del Principato UItra ed era direttamente interessato alla costruzione della via che unisce la Puglia alla Campania.

Una conferma risale al 5 novembre 1592 in una nota indirizzata al Capitano di Montefusco: "L'Università ha ottenuto Regio Assenso su la gabella del vino per far pagare carlini 4 per ogni soma che entra nella terra. Ora molti particolari di Lapio portano il vino, ma non vogliono pagare perché dicono di venderlo al minuto.

II Capitano li costringa al pagamento, non siano molestati per l'acquata da essi ottenuta aggiungendo acqua alle vinacce non del tutto premute, da servire per uso di famiglia; su questa non è imposta gabella alcuna". Anche nella prima metà del XII secolo il vino Fiano era già molto apprezzato. Infatti nel registro di Federico II, nell’epoca in cui fu a Foggia, c’è un passaggio in cui vengono riportati gli ordini per l’acquisizione di tre carichi di vini: il Greco e il Fiano.

Documenti risalenti al XIII secolo, fanno rilevare l'ordine impartito da re Carlo II d'Angiò al proprio commissario, Guglielmo dei Fisoni, di trovare 1600 viti di fiano da spedire a Manfredonia, al fine di piantarle nelle proprie tenute.

Vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita - Approvato DOC con D.P.R. 29.10.1986 - Approvato DOCG con D.M. 30.09.2011, G.U. 236 del 10.10.2011

Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014


--- Confine regionale    --- Confine provinciale  ♦ Zona di produzione

 


Vino Aglianico del Taburno D.O.C.G.

La denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Taburno” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

  1. Rosso
  2. Rosso Riserva o Riserva
  3. Rosato  

1. Tipologie e Uvaggi del Vino DOCG Aglianico del Taburno

 

  • Aglianico del Taburno Rosso (Vino Rosso)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Aglianico
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Benevento
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso dal colore rosso rubino più o meno intenso, tendente al granato con l’invecchiamento, odore caratteristico, persistente, dal sapore secco e di corpo.

  • Aglianico del Taburno Rosso Riserva (Vino Rosso Invecchiato)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Aglianico
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Benevento
  • => 13% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosso Invecchiato dal colore rosso granato intenso, odore caratteristico, persistente, dal sapore secco, armonico e di corpo.

  • Aglianico del Taburno Rosato (Vino Rosato)
  • Versioni: Secco
  • => 85% Vitigno Aglianico
  • =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella provincia di Benevento
  • => 12% Vol. Titolo alcolometrico
  • Vino Rosato dal colore rosa più o meno intenso, odore delicato, fresco, fruttato, dal sapore secco, armonico, fresco e fine.

__________

(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).


2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOCG Aglianico del Taburno

L’orografia collinare e montuosa del territorio di produzione e l'esposizione prevalente dei vigneti. orientati a sud, sud-est, localizzati in zone particolarmente vocate alla coltivazione della vite, concorrono a determinare un ambiente adeguatamente ventilato, luminoso, favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive della pianta. Nella scelta delle aree di produzione vengono privilegiati i terreni con buona esposizione adatti ad una viticoltura di qualità.

La Zona di Produzione del Vino DOCG Aglianico del Taburno è localizzata in: 

  • provincia di Benevento e comprende il territorio dei comuni di Apollosa, Bonea, Campoli del Monte Taburno, Castelpoto, Foglianise, Montesarchio, Paupisi, Torrecuso, Ponte e, in parte, il territorio dei comuni di Benevento, Cautano, Vitulano e Tocco Caudio.

3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOCG Aglianico del Taburno

Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.

Le pratiche enologiche di vinificazione dei Vini DOCG Aglianico del Taburno prevedono, tra l'altro, che:

  • La resa massima delle uve in vino devono essere le seguenti: per le tipologie Rosso e Rosso Riserva 70%; per la tipologia Rosato 65%.
  • Il vino a denominazione di origine controllata e garantita Aglianico del Taburno Rosso deve essere sottoposto a un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno due anni; per la tipologia Rosso Riserva, il periodo di invecchiamento obbligatorio è di almeno tre anni, di cui almeno dodici mesi in botti di legno e sei mesi in bottiglia.

4. Produttori di Vino DOCG Aglianico del Taburno

Con l’utilizzo della DOCG Aglianico del Taburno i Produttori Vinicoli Campani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche, le caratteristiche e le peculiarità che lo identificano in un territorio ben definito, soprattutto durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.


5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOCG Aglianico del Taburno

Carni bianche cotte al forno, agnello al forno con patate, formaggi di media stagionatura.


6. Storia e Letteratura del Vino DOCG Aglianico del Taburno

In base ai ritrovamenti effettuati ed a studi realizzati si può affermare che la coltivazione della vite nella provincia di Benevento ha origini antiche risalenti al II secolo a.C. Nel paese di Dugenta fu ritrovato un imponente deposito, con relativo forno di produzione, di anfore utilizzate per la conservazione ed il commercio del vino. Gli studiosi hanno convenuto che sicuramente questa era una fabbrica di anfore costruita in una area particolarmente idonea alla produzione e allo smercio del vino, situata lungo la riva sinistra del fiume Volturno del quale è affluente il fiume Calore che attraversa l’intera provincia di Benevento. Le anfore ritrovate in provincia di Benevento, venivano prodotte solo in due luoghi, a Dugenta e ad Anzio e venivano utilizzate in un area compresa tra l’Etruria meridionale, Lazio, Campania e Sannio.

Sicuramente il paese di Dugenta rivestiva un ruolo importante nella commercializzazione dei vini in epoca romana, in quanto la produzione di vino soddisfaceva abbondantemente la richiesta locale e quindi il vino veniva venduto anche al di fuori dei confini regionali, questo è testimoniato dal fatto che anfore realizzate a Dugenta sono state ritrovate in Inghilterra del sud e Africa del nord. Gran parte del vino prodotto nella provincia di Benevento e quello proveniente anche da altre parti d’Italia veniva venduto al mercato vinicolo di Pompei secondo solo a quello di Roma.

In base agli studi effettuati da Attilio Scienza, una forte classe di produttori di vino di origine sannita sarebbe stata presente nella composizione etnica di Pompei, a conferma che la cultura del vino nel Sannio è stata contemporanea se non precedente, all’epoca romana. Il Sannio per molti secoli ha rappresentato il collegamento naturale tra la Puglia e la Campania. Attraverso i sentieri della transumanza i Sanniti hanno conosciuto il mondo del vino Abruzzese e Pugliese attraverso i quali hanno portato nel Sannio i vitigni greci dell’Epiro.

Attilio Scienza afferma che del vino sannita troviamo citazioni di Platone comico, commediografo ateniese della seconda metà del V secolo a.C., che parlava dell’eccellente vino di Benevento dal lieve aroma fumé ; inoltre secondo Scienza del vino sannita ne parla anche Plinio nella Naturalis Historia, il quale sosteneva che il vino Kapnios avesse nel Sannio una delle sue patrie d’elezione. Il sapore fumé del vino Kapnios potrebbe non solo essere derivato da una tecnica di appassimento delle uve o dall’affumicamento di queste, ma addirittura dalle caratteristiche stesse dell’uva.

Un’altra importante testimonianza che i Sanniti si dedicassero alla coltivazione della vite e alla produzione del vino, è che quando sul finire del V secolo a.C. famiglie di stirpe sannita si stabilirono nella Valle del Volturno, si è avuto uno sviluppo economico di queste area grazie alla produzione del Trebula balliensis, così come riferito da Plinio il vecchio nella sua Naturalis Historia. Nel beneventano come nel resto della Campania la viticultura conobbe una crisi dovuta al cambiamento del gusto del mercato romano che scoprì i vini più leggeri e profumati dell’Italia settentrionale e della Gallia.

Il primo vino Gallico arrivò a Roma nel 79 d.C. Un inversione di tendenza la si ebbe solo intorno al 500 d.C. grazie ai Longobardi, che non solo importarono vitigni di origine pannonica, ma protessero le vigne dall’espianto addirittura con la pena di morte. Anche Carlo Magno si occupò attraverso il Capitulare de Villis della cura della vite, ma fu grazie alla chiesa che intorno all’anno 1000 si ebbe il definitivo rilancio della coltivazione della vite che 9 coinvolse anche il territorio sannita. Fu proprio un sacerdote, il vescovo di Benevento Landulfo, a pretendere che vicino ad ogni monastero fossero impiantati dei vigneti, favorendo il rilancio della viticultura soprattutto nella zona di Solopaca come dimostra la presenza di venditori di vino in documenti del 1100. In questo periodo, e fino al 1400, molti vini beneventani grazie alla possibilità di sfruttare i fiumi navigabili che attraversavano la provincia, arrivavano ai porti di Gaeta e di Napoli i più grandi porti di smistamento dei vini per l’intero Mediterraneo e per i mari del Nord. A Napoli in quegli anni venivano trasportati ingenti quantità di vino dall’entroterra Beneventano ed Avellinese, ed assieme ai vini fermi venivano trasportati anche vini dolci molto richiesti dal mercato europeo in quel periodo. La classe mercantile beneventana in quegli anni diventò la più forte della regione Campania, in quanto poteva godere degli enormi benefici derivanti dal fatto che i territori della provincia di Benevento erano sotto il governo dello Stato della Chiesa.

Per una prima descrizione su base scientifica della viticoltura beneventana dobbiamo attendere la Statistica murattiana del 1811, il primo e vero studio del territorio sannita che ha permesso di conoscere le produzioni della provincia di Benevento e di ricostruire le condizioni economiche- sociali e gli stili di vita della popolazione sannita. Da questo studio si evince che che la provincia di Benevento produceva vini che soddisfacevano le diverse richieste del mercato infatti il vino di Cerreto Sannita veniva considerato molto pregiato assieme a quello di Solopaca, Frasso Telesino, Melizzano e venivano venduti sul mercato regionale ed extra-regionale; quelli di Sant’Agata dei Goti venivano venduti solo sul mercato provinciale, mentre a Guardia Sanframondi si produceva un vino dolce e liquoroso simile a quello di Malaga. Da Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi partiva nel 1811 il più alto numero di barili di vino per la capitale, 79.229, contro i 31.281 di Airola, i 12.557 di Solopaca e i 10.470 di Sant’Agata dei Goti. Per quanto riguarda il numero di vigne Cerreto Sannita e Guardia Sanframondi non superavano di molto Solopaca infatti nei due comuni se ne trovavano circa 3.480 ed invece nel solo comune di Solopaca se ne potevamo trovare circa 2.880.

Sempre agli inizi dell’Ottecento c’è testimonianza di un ottimo vino prodotto anche nei comuni di Pontelandolfo, Baselice e Foiano in Val Fortore. Nel 1872 un grosso studioso, Giuseppe Frojo, incominciò a parlare di vitigno in senso scientifico e sostienne che le migliori uve della regione Campania erano il Pallagrello, oggi diffuso solo nella provincia di Caserta, ma lodava anche le uve Aglianico, Sciascinoso, il Piede di Colombo (Piedirosso), Greco e Fiano, tutti vitigni coltivati nella provincia di Benevento. Circa venti anni dopo Frojo, fu il Ministero dell’Agricoltura a fare un’accurata analisi delle uve presenti su territorio sannita.

L’Aglianico restava il vitigno predominate, seguito dal Piedirosso, l’Aglianicone, il Gigante, il Mangiaguerra, la Tintiglia di Spagnala Vernacciola e il Sommarello. Tra i vini a bacca bianca si notano il Bombino, l’Amoroso bianco, la Passolara, il Greco, la Malvasia, il Moscatello e la Coda di Volpe. In questo periodo il vino prodotto è destinato al consumo interno, in quanto in provincia di Benevento stava nascendo una classe borghese più attenta e sensibile alla buona tavola, ma anche trasportato il nord Italia in quanto molto apprezzato e richiesto. Negli anni in cui Frojo compiva i suoi studi, la superficie vitata della provincia di Benevento era rappresentata da poco più di 15.000 ettari, estensione che pur ponendo la provincia ultima nella classifica regionale, la rendeva seconda sola a Napoli per rapporto fra territorio e superficie, mentre a partire dal 1904 e almeno fino al 1924 i terreni a vigna erano più che raddoppiati. Negli anni che andavano dal 1896 al 1910 il vigneto sannita si arricchì di 8.046 ettari, pari ad un incremento del 46%.

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