Assovini
Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 09.01.1985, G.U. 171 del 22.07.1985
Denominazione aggiornata con le ultime modifiche riportate in G.U. 202 del 24.08.2021
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Lacrima di Morro (o Lacrima di Morro d'Alba) D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Lacrima di Morro (Lacrima di Morro d'Alba)” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Lacrima di Morro d'Alba
- Lacrima di Morro d'Alba Superiore
- Lacrima di Morro d'Alba Passito
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
- Lacrima di Morro d'Alba (Vino Rosso)
- Versioni: Secco
- => 85% Vitigno Lacrima
- =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso dal Colore rosso rubino carico; Odore gradevole, intenso; Sapore gradevole, morbido, caratteristico.
- Lacrima di Morro d'Alba Superiore (Vino Rosso Superiore)
- Versioni: Secco
- => 85% Vitigno Lacrima
- =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 12% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso Superiore dal Colore rosso rubino carico; Odore gradevole, intenso; Sapore gradevole, morbido, caratteristico.
- Lacrima di Morro d'Alba Passito (Vino Rosso Passito)
- Versioni: Secco /Abboccato /Amabile /Dolce
- => 85% Vitigno Lacrima
- =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 15% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso Passito dal Colore rosso più o meno intenso, talvolta tendente al granato; Odore caratteristico più o meno intenso; Sapore armonico e vellutato
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba si estende su un’area collinare anconetana, attraversata dai fiumi Cesano, Nevola e Misa, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba è localizzata in:
- provincia di Ancona e comprende il territorio dei comuni di Morro d'Alba, Monte S. Vito, S. Marcello, Belvedere Ostrense, Ostra e Senigallia.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Lacrima di Morro d'Alba non dovrà essere superiore al 70% e al 45% per la tipologia di Vino Passito; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
- Le uve destinate alla produzione del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba Passito devono essere sottoposte ad appassimento naturale sulla pianta fino a raggiungere un grado zuccherino di almeno 21°.
- Il vino DOC Lacrima di Morro d'Alba Superiore deve essere sottoposto ad invecchiamento per circa 12 mesi e, comunque, immesso sul mercato non prima del 1° settembre dell'anno successivo alla vendemmia.
- Il vino DOC Lacrima di Morro d'Alba Passito deve essere sottoposto ad invecchiamento per circa 15 mesi e, comunque, immesso sul mercato non prima del 1° dicembre dell'anno successivo alla vendemmia.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve, se trattasi di bottiglie e contenitori non superiori a 3 litri.
4. Produttori di Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
Con l’utilizzo della DOC Lacrima di Morro d'Alba i Produttori Vinicoli Marchigiani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
CANTINE
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
Primi piatti al ragù, carni bianche, pasticceria secca.
RICETTE
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba
Dopo la caduta dell’Impero Romano, che aveva visto il diffondersi della coltivazione della vite e il commercio dei vini, come testimonia il ritrovamento in mare a Senigallia di anfore vinarie, le invasioni barbariche, la presenza dei Longobardi e le invasioni saracene dal mare, spinsero la popolazione del territorio interessato alla produzione degli attuali vini a denominazione d’origine “Lacrima di Morro d’Alba” o “Lacrima di Morro” ad erigere fortificazioni, destinate a divenire il fulcro di successivi insediamenti.
In questo territorio iniziò, a partire dal 900, “l’incastellamento” dei luoghi collinari, più facilmente difendibili dagli attacchi esterni; anche le vigne subirono una trasformazione e le alberate, diffuse in epoca romana, vennero sostituite da piccoli appezzamenti protetti da recinti dove la vite veniva spesso consociata con gli alberi da frutto. In tale epoca l’importanza economica della viticoltura si ridusse, ma le vigne continuarono ad essere presenti negli “horti conclusi”, spesso coltivate dai monaci per produrre il vino per le esigenze liturgiche.
Le tecniche di coltivazione della vite messe a punto in epoca romana furono così affinate e tramandate negli ambienti monastici, che svolsero un ruolo importante di salvaguardia della cultura agricola del territorio.
Nell’età dei Comuni, le migliorate condizioni economiche portarono ad aumenti della popolazione e dei fabbisogni alimentari, contribuendo al recupero e al consolidamento del ruolo della viticoltura, che divenne un tratto distintivo del territorio. Non si ha conoscenza da quando il vitigno Lacrima iniziò ad essere coltivato in quella che è la sua attuale area di elezione, ma sappiamo con precisione che la sua importanza e i suoi pregi erano già ben noti nel territorio regionale nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Infatti, nel volume “La esposizione ampelografica marchigiana-abruzzese tenuta in Ancona il settembre 1872 e studi sulla vite e sul vino della provincia anconitana” pubblicato nel 1873 è inserita la descrizione del vitigno Lacrima, condotta su diversi campioni di foglie e di grappoli raccolti in differenti aree delle Marche, unitamente ai risultati dell’analisi chimico fisica dei vini monovarietali effettuata dal laboratorio del Regio Istituto Tecnico di Ancona. La descrizione è ben dettagliata, riguarda i diversi organi della vite, le fasi fenologiche e il comportamento nei confronti delle malattie. Viene evidenziata la precocità di germogliamento, la presenza di una sensibile componente aromatica e si riporta un lusinghiero giudizio sul vino “Ottimo vino aromatico, atteso il grato profumo..”.
Troviamo la descrizione di Lacrima anche nei Bollettini Ampelografici e, date le caratteristiche di pregio e l’importanza di questo vitigno nella viticoltura della provincia di Ancona della seconda metà dell’800, non stupisce che Lacrima sia stata una delle tre varietà di viti coltivate nelle Marche ad essere inserita nel primo volume dell’Ampelografia italiana, pubblicato a Torino nel 1879, a cura del Comitato Ampelografico Centrale. La descrizione di Lacrima riportata nell’Ampelografia italiana corrisponde perfettamente a quella della varietà che viene attualmente coltivata con questo nome nelle Marche, ma non concorda con quella che era stata precedentemente inserita dal Gallesio nella Pomona italiana, né corrisponde ad altri vitigni che portano lo stesso nome e che sono diffusi nelle aree meridionali del nostro paese.
Il Lacrima, quale vitigno antico e di grande pregio, ma di non facile coltivazione a causa della notevole precocità di germogliamento, ha visto un periodo di contrazione delle sue superfici coltivate durante la ricostituzione viticola del secondo dopoguerra, ma ha poi rafforzato la sua presenza nel territorio del Comune di Morro d’Alba (così denominato dal 1862 a partire dal suo antico nome romano) e in quello dei comuni limitrofi.
Il rinnovato interesse verso la coltivazione di Lacrima ed alle peculiari caratteristiche dei vini ottenuti ha quindi portato ad ottenere il riconoscimento della denominazione d’origine controllata “Lacrima di Morro” o “Lacrima di Morro d’Alba” nel 1985, che a sua volta ha dato ulteriore impulso allo sviluppo del territorio e al perfezionamento delle tecniche di gestione dei vigneti e di vinificazione delle uve.
Il Vino DOC Lacrima di Morro d'Alba ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 9 gennaio 1985.
Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.M. 30.08.2004, G.U. 209 del 06.09.2004
Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino I Terreni di Sanseverino D.O.C.
La denominazione di origine controllata “I Terreni di Sanseverino” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Rosso
- Rosso Superiore
- Rosso Passito
- Moro
1. Tipologie e Uve del Vino DOC I Terreni di Sanseverino
- I Terreni di Sanseverino Rosso (Vino Rosso)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Vernaccia Nera
- =< 50% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 12% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso ben strutturato, dal colore rosso rubino, odore gradevole, complesso, dal gusto sapido, armonico, tipico, caratteristico.
- I Terreni di Sanseverino Rosso Superiore (Vino Rosso Superiore)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Vernaccia Nera
- =< 50% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 12,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso Superiore di ottima struttura, colore rosso rubino intenso, odore gradevole, intenso, dal gusto sapido, armonico, tipico, caratteristico.
- I Terreni di Sanseverino Rosso Passito (Vino Rosso Passito)
- Versioni: Amabile /Dolce
- => 50% Vitigno Vernaccia Nera
- =< 50% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 15,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso Passito di ottima struttura, colore rosso rubino chiaro tendente al granato, odore intenso, caratteristico dell'appassimento e sapore vellutato, gradevolmente amabile o dolce.
- I Terreni di Sanseverino Moro (Vino Rosso)
- Versioni: Secco
- => 60% Vitigno Montepulciano
- =< 40% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 12,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso di ottima struttura, colore rosso rubino intenso, odore gradevole, complesso e sapore armonico, talvolta di frutta rossa.
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC I Terreni di Sanseverino
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC I Terreni di San Severino si estende nelle colline di San Severino Marche, attraversate dai fiumi Potenza e Musone, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC I Terreni di San Severino è localizzata in:
- provincia di Macerata e comprende il territorio del comune di San Severino Marche.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC I Terreni di Sanseverino
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC I Terreni di San Severino prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC I Terreni di San Severino non dovrà essere superiore al 70% e al 43% per la tipologia di Vino Passito; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
- Le uve destinate alla produzione del Vino DOC I Terreni di San Severino possono essere sottoposte ad appassimento naturale sulla pianta o in appositi locali, fino a raggiungere un grado zuccherino di almeno 260 g/l.
- I Vini DOC I Terreni di San Severino Rosso e Moro devono essere sottoposti ad invecchiamento per almeno 18 mesi.
- I Vini DOC I Terreni di San Severino Rosso Superiore e Rosso Passito devono essere sottoposti ad invecchiamento per almeno 24 mesi.
- Nella designazione dei Vini DOC I Terreni di San Severino può essere menzionata la dizione "Vigna" purchè sia seguita dal relativo toponimo e che siano rispettate determinate pratiche di vinificazione.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC I Terreni di San Severino è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC I Terreni di Sanseverino
Con l’utilizzo della DOC I Terreni di San Severino i Produttori Vinicoli Marchigiani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC I Terreni di Sanseverino
Piatti strutturati come i tipici "Vincisgrassi alla maceratese" o secondi piatti a base di carne di pecora e di coniglio. Pasticceria secca, pandolci rustici, torte di frutta, pasticceria con creme delicate e crostate.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC I Terreni di Sanseverino
La viticoltura a San Severino ha una storia plurisecolare. Città romana, nasce come colonia Romana con il nome di Settempeda, subisce una distruzione nel 545 d.c.. Nel secolo XIV si conclude una prima fase della riaffermazione della coltura della vite iniziata nell’Alto Medioevo, dopo l’abbandono seguito alla crisi del Mondo Antico.
Il consumo del vino si è diffuso progressivamente dalle mense ecclesiastiche, a quelle signorili, a quelle borghesi fino a raggiungere le masse per motivi alimentari e sanitari.
Il territorio collinare del Comune di San Severino, in posizione strategica rispetto ai flussi commerciali tra l’appennino umbro marchigiano e Ancona, risulta storicamente tra le zone più felici per il prosperare rigoglioso della vite e per la produzione di uve di qualità.
Nei secoli il vino di San Severino aveva assunto una notevole rinomanza tanto da essere commercializzato a Roma, nel Veneto e in altre Signorie dell’epoca, ma anche per essere utilizzato come omaggio prestigioso e strumento mediatore di pace. Lo storico settempedano Raoul Paciaroni nella sua pubblicazione “Mangiare da Papa a Sanseverino. Pio II e la sua corte ospiti della città nel 1464” (Sanseverino Marche, Litografia “Grafica & Stampa”, 2001) riporta alcuni esempi interessanti, che vengono sintetizzati nel successivo paragrafo. Papa Urbano V nel 1370 investì della Vicaria di San Severino tal Smeduccio di Nunzio della Scala ricevendo in omaggio, per tale scelta, 850 litri di vino locale (24 barili).
Nel 1445 l’implorazione al cardinale Camerlengo, per persuadere il capitano di ventura Braccio Baglioni ad andarsene dalla città con i suoi soldati, venne accompagnata da 500 litri di vino vecchio. Nel 1430 il Console di San Severino aveva ringraziato il Comune di Norcia, con l’invio di due salme di vino invecchiato, per la sospensione di rappresaglie commerciali in vigore contro la città.
L’elezione nel 1458 del Papa Pio II fu motivo di invio a Roma di 97 barili e 30 damigiane di vino di S. Severino. Nell’opera monumentale “De naturali vinorum Historia, de Vinis Italiae et de Conviviis Antiquorum”, pubblicata a Roma nel 1596, il celebre medico e scienziato marchigiano Andrea Bacci, archiatra di papa Sisto V, a proposito dei vini di Sanseverino così si esprimeva: “Septempedae communia, et quae ut aprico magis in Piceni planiciem gaudent situ, collibus, ac Potentiae ripis frugiferis interseptam, uberiora habentur, ac varii generis. Dulcia suo tempore, et quae non invident Trebulanis, Rubra item suavia, ac grato gustu sorbigna, et cruda, et aquosa aliqua aegris idonea”. Il brano, tradotto nella nostra lingua, dice: “I vini comuni di Settempeda, specialmente quelli che più godono della posizione soleggiata verso la pianura del Piceno, tagliata dai colli e dalle fertili rive del Potenza, sono più abbondanti e di vario genere. I vini dolci, a suo tempo, non hanno nulla da invidiare al trebbiano (ndr: molto diffuso all’epoca); i rossi, similmente sono soavi e di gradevole gusto al sorseggio, i crudi e alcuni acquati [vinelli misti coll’acqua] sono adatti per i malati”.
Si trovano citazioni storico – letterarie relative ai vini di San Severino anche nei periodi successivi, come quelle di G. Scampoli (1682), storiografo del Principe Giovanni d’Austria e del Talpa, scrittore che nel 1732 affermò “il territorio di S. Severino produce vini in grandissima quantità di perfettissimo sapore”. Più critica appare la posizione dell’abate D. Angelantonio Rastelli, che nel “Dialogo sul necessario miglioramento de’ vini anconitani e del piceno per formarne un ramo d’interessante commercio”, pubblicato a Jesi nel 1809, lamenta un generale scadimento qualitativo di buona parte della produzione enologica delle Marche e fornisce linee guida per il suo miglioramento. L’abate Rastelli inserisce la Vernaccia tra le varietà di pregio, consiglia appropriate modalità di impianto e di gestione dei vigneti, indica le strategie di raccolta e di vinificazione da impiegare, descrive le tecniche di vinificazione, travaso e conservazione atte a “far vini prelibati per renderli atti alla navigazione a motivo di farne un interessante commercio”.
Il Rastelli riporta anche le modalità da seguire per ottenere i vini passiti, consigliando di raccogliere i grappoli più maturi e “di tenerli sani per dodici o quindici giorni ad appassire sopra le stuoie o su un tavolato in luogo arioso, asciutto” allo scopo di estrarre un mosto prelibato che, dopo fermentato, dà “un ottimo vino grato, gentile, spiritoso, e di gran durata”.
La diffusione della mezzadria aveva portato sul territorio di San Severino la presenza di numerosi poderi e la vite veniva coltivata su limitate superfici per produrre vino destinato al consumo famigliare e locale. Sul finire del 1800, infatti, il territorio di San Severino produceva vini che venivano solo sporadicamente esportati.
La diffusione della fillossera e la necessità di ricostituire i vigneti portò ad una attenta valutazione e selezione delle migliori varietà da impiegare nella intera provincia di Macerata. Il Dott. Salvatore Santini nella sua Ampelografia del circondario di Macerata (1875) ebbe a scrivere “Nel Sanseverinese e nel Matelicano trovasi in qualche copia la vernaccia, e forma ivi quasi il più bel decoro di quelle campagne. Essa fornisce vini squisiti, e decantati da tempo antichissimo”. In quel periodo si impose la coltivazione di “Vernaccia”, definita dall’ampelografo piemontese Di Rovesenda (1877) “una delle migliori uve nere della zona di Ancona” e si estese quella di altre varietà a bacca nera quali Sangiovese e Montepulciano.
Dalla metà dell’ottocento e fino agli anni ’40 del secolo scorso la struttura socioeconomica della zona vide la contrazione delle capacità industriali, soprattutto concerie e lanifici già presenti fin dall’età medievale, e la stabilizzazione della struttura di produzione e commercializzazione agricola basata su aziende distribuite sul territorio e ad esso strettamente correlate, dette “Terreni”. I “Terreni”, condotti direttamente o a mezzadria da un ampio nucleo familiare, avevano generalmente una superficie coltivabile attorno a 10 ettari e presentavano molteplici produzioni, in parte destinate all’autoconsumo, che rendevano autosufficiente la famiglia coltivatrice e garantivano la rendita fondiaria alla proprietà. Tale modello socio economico integrato con il territorio e le sue risorse decadde e perse la sua importanza nel secondo dopoguerra in concomitanza dell’inurbamento e conseguente abbandono delle campagne.
In questo periodo storico si assistette alla scomparsa dei “Terreni”, emersero difficoltà di adeguamento agli standard introdotti dalle nuove tecniche di produzione, che ampliarono la tendenza all’espianto delle alberate e dei vigneti e portarono il comparto vitivinicolo locale a perdere progressivamente la sua competitività.
Recentemente un appassionato proprietario terriero della zona, Cesare Ottavi, ispirato dalla storia vitivinicola di San Severino, ha deciso di riprendere e recuperare la coltivazione della vite su superfici significative e si è attivato per il riconoscimento della denominazione di origine ripartendo dalla storia dei “Terreni” e del significato di tale modello organizzativo nel contesto locale. L’impulso e l’impegno dell’Ottavi, il sostegno delle istituzioni locali e regionali, anche mediante la messa a punto di programmi di studio di caratterizzazione pedoclimatica e viticolo-enologico condotte da ASSAM con il contributo scientifico della Facoltà di Agraria di Ancona, hanno portato nel 2004 al riconoscimento della DOC “I Terreni di Sanseverino” i cui vini sono espressione della storia e della tradizione di un territorio modellato dall’agricoltura identificabile con lo specifico paesaggio agrario.
Il Vino DOC I Terreni di San Severino ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 30 agosto 2004.
Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 28.04.1975, G.U. 226 del 26.08.1975
Denominazione aggiornata con le ultime modifiche pubblicate in GU 36 del 13.02.2024
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Falerio D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Falerio” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Falerio
- Falerio Pecorino
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Falerio
- Falerio (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- >< 20-50% Vitigno Trebbiano Toscano
- >< 10-30% Vitigno Passerina
- >< 10-30% Vitigno Pecorino
- =< 20% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco con buon tenore di acidità, colore giallo paglierino, all’olfatto si riscontrano aromi floreali e di frutta a polpa gialla, al gusto sono armonici, freschi con un retrogusto abbastanza persistente.
- Falerio Pecorino (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- => 85% Vitigno Pecorino
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 12% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco dal colore giallo paglierino con riflessi verdognoli, all’olfatto si riscontrano aromi di fiori bianchi, note di ananas, anice e salvia, il gusto è armonico, fresco, sapido, minerale con un retrogusto molto persistente.
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Falerio
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Falerio si estende nel territorio a sud della regione Marche, che va dalla zona litoranea sino ad arrivare ad una media alta collina, adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Falerio è localizzata in:
- provincia di Ascoli Piceno e comprende il territorio dei comuni di tutta la provincia.
- provincia di Fermo e comprende il territorio dei comuni di tutta la provincia.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Falerio
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Falerio prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Falerio non dovrà essere superiore al 70%; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Falerio è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC Falerio
Con l’utilizzo della DOC Falerio i Produttori Vinicoli Marchigiani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Falerio
Zuppe di pesce, fritti di pesce di mare e d'acqua dolce, olive ripiene e fritte all'ascolana.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Falerio
La millenaria storia del Falerio dei Colli Ascolani è già scritta nel nome, tipicamente romano, del vino che deriva dall'antica città di Faleria, diventata poi Falerio Picenus e, oggi, Falerone.
Il Falerio dei Colli Ascolani, come i resti del teatro, dell'anfiteatro e del tempio romano che ancora si possono ammirare nella città di Falerone, costituisce la testimonianza vivente della fama che, fin dai tempi della Roma Imperiale, avevano i vini del Picenum.
La zona di produzione definita dalla Doc del Falerio si estende su quasi tutta l'area viticola della provincia di Ascoli Piceno e Fermo, che dalla fascia collinare sub-appenninica arriva sino al litorale adriatico. Le colline tra Falerone e Fermo, dove oggi si distendono i vigneti del Falerio, hanno visto il battesimo delle armi del famoso filosofo e oratore romano Cicerone che, a soli 18 anni, partecipò nelle armate di Pompeo Stradone, alla battaglia persa dai Romani contro l'esercito Piceno.
Negli archivi del comune di Fermo si sono trovati cenni al vino di Faleria risalenti al XIII secolo, dove si rintracciano le prime testimonianze dell'adozione anche in loco, dell'antica tecnica del "vin cotto" che è sopravvissuta fino ad oggi, anche se limitata a piccole produzioni.
Passerina e Pecorino, che entrano nell'uvaggio del Falerio insieme al Trebbiano, vantano una storia secolare. Sono due vitigni di antichissima tradizione e con decisa origine marchigiana. Per la Passerina, qualche ampelografo ha ipotizzato addirittura discendenze dallo Psithia di cui parlò il poeta latino Virgilio. Il Pecorino presenta ancora oggi una forte personalità gustativa, che ne fa ingrediente indispensabile per la caratterizzazione dei vini Piceni.
Il Vino DOC Falerio ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 28 aprile 1975.
Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.M. 11.09.1995, G.U. 232 del 04.10.1995
Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Esino D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Esino” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Bianco
- Bianco Frizzante
- Rosso
- Rosso Novello
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Esino
- Esino Bianco (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Verdicchio
- =< 50% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco dal colore colore giallo paglierino tenue, odore delicato e gradevole, sapore armonico, di buona struttura.
- Esino Bianco Frizzante (Vino Bianco Frizzante)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Verdicchio
- =< 50% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco Frizzante dalla spuma fine ed evanescente, colore paglierino tendente all’ambrato più o meno carico, odore caratteristico dell'appassimento, etereo e intenso, sapore dolce, armonico e vellutato, di buona struttura..
- Esino Rosso (Vino Rosso)
- Versioni: Secco
- => 60% Vitigno Sangiovese e Montepulciano, da soli o congiuntamente;
- =< 40% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso dal colore rosso rubino, odore intenso, sapore secco e armonico, di buona struttura.
- Esino Rosso Novello (Vino Rosso Novello)
- Versioni: Secco
- => 60% Vitigno Sangiovese e Montepulciano, da soli o congiuntamente;
- =< 40% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Marche.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso Novello dal colore rosso rubino, odore fragrante, fine, sapore morbido, armonico e vellutato, di buona struttura.
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Esino
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Esino si estende sul territorio marchigiano compreso tra il mare Adriatico ed i monti Sibillini, attraversato dai fiumi Cesano, Nevola, Misa, Aspio e dall'Esino (da cui il vino prende il nome). Il territorio adeguatamente ventilato e luminoso risulta favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Esino è localizzata in:
- provincia di Ancona e comprende il territorio dei comuni di tutta la provincia.
- provincia di Macerata e comprende il territorio dei comuni di Camerino, Castelraimondo, Esanatoglia, Gagliole, Matelica, Pioraco, Apiro, Cingoli e Poggio San Vicino.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Esino
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Esino prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Esino non dovrà essere superiore al 70%; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
4. Produttori di Vino DOC Esino
Con l’utilizzo della DOC Esino i Produttori Vinicoli Marchigiani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Esino
Primi e secondi piatti di pesce, formaggi poco stagionati, salumi, carni bianche e rosse in umido e arrosto.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Esino
Il territorio della zona di produzione del vino DOC “Esino”, vide il diffondersi della coltivazione della vite già in epoca romana (come testimoniato dai numerosi reperti e documenti archeologici) e andò incontro, dopo la caduta dell’impero romano, ad un periodo di contrazione della viticoltura.
Durante l’alto Medio Evo le poche superfici vitate erano concentrate in piccoli appezzamenti posti nelle immediate vicinanze dei Castelli (chiamate “Corti” o “Cortine”); la viticoltura riprese poi a svilupparsi in seguito all’insediamento di potenti ordini monastici, che fondarono numerose Abbazie, tuttora presenti, nel territorio dell’attuale DOC “Esino”.
Furono dapprima i monaci benedettini, seguiti dai cistercensi, a diffondere nuovamente la coltivazione della vite e a dare nuovo impulso all’attività agricola. Nell’area di produzione della DOC “Esino”, come nel resto della regione, a partire dal Medio Evo si diffuse la mezzadria, speciale rapporto associativo tra capitale e lavoro, che contribuì allo sviluppo rurale del tempo andando a delineare quel paesaggio agrario ordinato e diffusamente coltivato, che tuttora costituisce un tratto tipico delle Marche. La coltivazione della vite interessò la gran parte dei poderi che vennero a formarsi, la cui dimensione era limitata e commisurata alla forza lavoro della famiglia colonica che vi si insediava.
Nel 1269, il giudice De Crescenzi in Senigallia descriveva le vigne della Marca di Ancona “fatte di piante sorrette da canne e pali” e asseriva che la piantata bolognese su olmo ed acero richiedeva minori cure rispetto alla vigna. Nel catasto di Corinaldo del 1532 si riscontra che la vigna rappresentava allora, nell’area provinciale, “l’unico modo di coltivare la vite nel solco di un’antica tradizione risalente alla prima età comunale”.
Nel XVI secolo il territorio dell’attuale DOC “Esino” presentava una ragguardevole diffusione della vite nel tessuto agricolo: i campi seminati venivano sovente delimitati da filari di vite e il vino divenne un genere di largo consumo. Il modello colturale dell’alberata, già diffuso in epoca romana, era tornato in auge ad opera di piccoli proprietari coltivatori e di vignaioli parzionari, braccianti immigrati delle coste balcaniche, disposti a stipulare con il proprietario del terreno un contratto con l’impegno ad impiantare una vigna, a dividere a metà il prodotto per divenire, infine, proprietari del terreno vitato. Il vignaiolo si impegnava ad effettuare tutte le cure colturali e tutti i lavori di trasformazione delle uve consegnando al proprietario la metà del vino prodotto.
Andrea Bacci, noto enografo e Archiatra pontificio, nella sua sistematica descrizione dei vini (“De naturali vinorum historia“) pubblicata nel 1596 inserisce per la Marca di Ancona i vini di Loreto, Sirolo, Numana definendoli sani e conservabili per lungo tempo e prosegue con quelli delle “tante vigne” dell’osimano. Del territorio di Senigallia afferma “che produce ottimi vini e in abbondanza”, mentre per l’area di Jesi richiama la presenza dell’Abbazia di Chiaravalle riportando che “i nobili coloni si dedicano ad essi con non minore impegno importando i migliori vitigni ed i loro vini gareggiano con i generosi Trebbiani”. La rassegna dei vini della zona ad opera del Bacci termina con il territorio di influenza del fabrianese e la citazione del “Cerretano, vino di tanta forza che si conserva a lungo più come medicina che come bevanda”.
Il “Dialogo sul necessario miglioramento dei Vini Anconitani e del Piceno per formarne un ramo di interessante commercio” pubblicato nel 1809 a Jesi da Don Angelo Rastelli, parroco di Monsano, ci fornisce una viva descrizione della viticoltura e dell’enologia del territorio attualmente interessato alla DOC “Esino”. L’abate Rastelli lamenta uno scadimento della qualità dei vini per “colpa dell’Agricoltore, che non sa adattare la buona qualità delle viti alla buona qualità del terreno”, consiglia varietà come Verdicchio e Sangiovese, argomenta l’importanza di preferire le vigne alle alberate e alle folignate e fornisce precise indicazioni sul miglior modo di gestire le viti e di vinificare le uve.
In seguito all’unità d’Italia furono avviate diverse attività conoscitive sul territorio nazionale e, per quel che concerne le Marche, i lavori della Commissione Ampelografica fecero emergere l’importanza rivestita dalle varietà di pregio Verdicchio e Sangiovese e promossero la valutazione, la conoscenza e l’impiego di altri vitigni che avevano riscosso successo in altre aree. La ricostituzione viticola all’inizio del XX secolo interessò la zona di produzione della DOC “Esino” e vide il rafforzarsi di vitigni italici di pregio quali Verdicchio, Sangiovese e Montepulciano.
L’intervento pubblico, nazionale e comunitario degli anni 60 e 70 favorì il compimento del processo di rinnovamento della viticoltura della zona attraverso la ristrutturazione degli impianti e una precisa scelta varietale con impiego di vitigni a bacca nera e bianca di qualità. La scomparsa della mezzadria, riscontrata in quel periodo, comportò anche la modifica delle sistemazioni arboree non più compatibili con la moderna agricoltura. Il processo di rinnovamento degli impianti, l’applicazione delle moderne acquisizioni scientifiche e tecniche e i riscontri positivi ottenuti dalle produzioni enologiche di pregio esistenti nella zona, hanno spinto i produttori dell’area della DOC “Esino” verso la valorizzazione di altre produzioni di qualità del territorio.
In questo nuovo contesto, accanto ai pregiati e rinomati vini monovarietali della tradizione quali Verdicchio, Montepulciano, Sangiovese e Lacrima, sono stati prodotti altri vini tradizionali ottenuti da uvaggi di varietà bianche e nere, in cui alcune delle varietà sopra menzionate sono presenti in parte preponderante accanto ad altri vitigni ben adattati al territorio per le loro versatilità.
Si è così avviato il processo che ha portato alla richiesta della DOC “Esino”. In tal modo è stata recuperata e valorizzata l’ampia offerta di vini qualità provenienti da un territorio ricco di tradizioni viticole ed enologiche ed è stato dato ulteriore impulso all’imprenditoria locale e allo sviluppo delle strutture di trasformazione vinicola del territorio.
Il Vino DOC Esino ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 11 settembre 1995.