Assovini
Quella del Sannio beneventano è una viticoltura dinamica, tecnicamente all’avanguardia, con vigneti in evoluzione e cantine ben attrezzate. La provincia è la realtà trainante dell’intero settore campano, con un significativo 40% della produzione regionale al proprio attivo.
L’itinerario ha come punto di riferimento la città capoluogo. Benevento conserva un monumento romano che ha superato per grandiosità e ricchezza di decorazioni l’Arco di Tito, il modello da cui deriva. E’ l’Arco di Traiano, del 114 d.C., che celebra le imprese civili e militari dell’optimus princeps, l’imperatore che lo fece costruire. Fu innalzato per segnare l’inizio della Via Traiana, che abbreviava il percorso della Via Appia da Benevento a Brindisi. La sua inclusione nel nuovo arco di cinta delle mura dopo la conquista longobarda del 570, lo ha preservato dalla distruzione e dal degrado, e gli ha conservato il nome di Porta Aurea. Restauri recenti lo hanno riportato all’antico splendore.
La Strada attraversa conche e risale colline ricche di vigneti, uliveti, boschi. Raggiunge centri agricoli ricchi di testimonianze culturali e artistiche troppo spesso ignorate. Collega importanti cittadine che hanno visto riconosciuti con l’attribuzione della Doc l’impegno, la passione, la fatica e la competenza profusi a lungo nel perseguimento di obiettivi giustamente ambiziosi, come Solopaca e il comune di Taburno.
Nel nome di S. Agata dei Goti si saldano i Sanniti Caudini, che abitarono il sito di Saticula, e i Goti che vi si insediarono dopo la guerra del 553. Guardia Sanframondi si manifesta nei ruderi di un castello e nella posizione strategica in cui i Longobardi la fondarono; la famiglia che la tenne nel Medioevo ha lasciato nel nome il ricordo di sé.
“Qui è il Vesuvio finora ombroso di verdi vigneti. Ora tutto giace sommerso nel fuoco e nel tristo lapillo”. Così Marziale, con sintesi fulminea, fotografa la distruzione operata dal vulcano con l’eruzione del 79 d.C., e contemporaneamente richiama l’antica vocazione della zona alla coltivazione della vite. Testimonianze storiche e letterarie lo confermano, e le ville di Pompei e degli altri centri distrutti dal Vesuvio ne hanno conservato prove nella campagna, nelle case e nelle cantine. Dalle ceneri dell’antica Oplontis, nei pressi di Torre Annunziata, sono emersi i resti di un’azienda agricola produttrice di vino accanto a quelli di una ricca villa appartenuta a Poppea Sabina, moglie di Nerone. Gran parte della ricchezza dell’antica Pompei derivava, infatti, dalla produzione e dal commercio del vino. E un vino pompeiano è stato prodotto recentemente da cinque vigne piantate negli scavi della città, uno dei quali in corrispondenza dell’antico vigneto presso la Casa dell’oste Eusino. Duemila anni fa i Pompeiani gustavano “un vino rosso importante e ben strutturato, formato dall’80% dal vitigno Piedirosso”. Analisi accurate di fonti letterarie, iconografiche e materiali, fra cui i calchi delle radici delle viti, hanno permesso di impiantare i vitigni autoctoni Piedirosso e Sciascinoso. Il vino della prima vendemmia, nel 2001, è stato affinato per 12 mesi in barrique e sei in bottiglia e ha prodotto 1721 bottiglie.
La Strada percorre territori diversi e si articola in itinerari che seguono le zone di produzione delle numerose Doc. Fulcro della zona partenopea è la Doc Vesuvio, che interessa le falde del vulcano e tutela un vino d’antica fama come il Lacrima Christi. Anche allora, come oggi, la vite si arrampicava lungo le pendici del Vesuvio, che aveva più volte portato terrore e rovina, ma che con la sua terra fertilissima, continuava a nutrire i vitigni di Falanghina e Greco, di Piedirosso e Sciascinoso. Anche Napoli, moderna metropoli ingloba ancora, incredibilmente, numerosi vigneti, alcuni di grande rilevanza storica, come quelli della collina di Posillipo o della Certosa di San Martino. Uno di questi, realizzato nel ‘400, è stato recentemente restaurato assumendo l’aspetto di uno splendido giardino. Da Napoli la Strada sale a Posillipo, nel più panoramico dei tracciati urbani, poi scende a Bagnoli, dove incontra il Parco scientifico che ha sostituito le vecchie acciaierie. La litoranea che conduce a Capo Misero attraversa un unico, vasto sito archeologico di grande suggestione. A Pozzuoli il grande Anfiteatro conserva ancora le strutture interne che svelano i segreti dei combattimenti con le fiere. Unico e per molto tempo misterioso, il Serapeo è stato finalmente riconosciuto come ”Macellum”, l’ampio mercato di Puteolis, a ridosso del porto, con le botteghe, le nicchie e le colonne, che i frequenti bradisismi hanno istoriato dei resti di molluschi marini. Tutt’attorno maturano le uve per i numerosi vini della Doc Campi Flegrei.
Ischia, isola verde, vulcanica e bruciata dal sole, è la più grande delle tre isole del Golfo di Napoli. Sulle sue coste approdarono nel 775 a.C. i Greci; chiamarono l’isola Pithekoussai, dai grandi vasi di terracotta che vi si producevano. I pithoi, alti tre metri e mezzo e con un’imboccatura di un metro, erano i vasi da trasporto per eccellenza, sia per l’olio d’oliva, sia per la frutta. Nella Grecia antica, però erano usati anche per la fermentazione del mosto: per ridurre la traspirazione, venivano interrati e cosparsi all’esterno di resina o di pece. Questa tecnica conferiva al vino un aroma particolare, che si riscontra ancora oggi nel vino resinato greco. Dopo sei mesi, il vino era filtrato e travasato in otri o anfore di terracotta appuntite che permettevano la decantazione del deposito eventuale, prima dello smercio. Le coste frastagliate, le fumarole, le sorgenti termali indicano nell’isola l’ex vulcano, l’Epomeo. Anche il suo porto è il cratere di un vulcano, divenuto lago, che i Borbone aprirono al mare nel 1854, creando un incantevole approdo. Il monte ha le pendici ammantate da pini, castagni, agrumi e dai vigneti che danno vini a cui nel ‘500 venivano attribuite virtù igieniche e terapeutiche. Oggi le varietà coltivate sono cambiate, ma i vini dell’isola, raccolti e tutelati dalla Doc Ischia, godono ancora di un vasto e meritato prestigio. Dall’Epomeo si staccarono, in epoche lontane, grandi macigni di tufo: alcuni si fermarono a mezza costa, altri in prossimità dei boschi e del mare. Nel XV secolo, gli Ischitani si spinsero all’interno per sfuggire agli attacchi dei pirati, o alla ricerca di terreni da coltivare, e nei macigni di tenero tufo scavarono case, chiese, cantine per la vinificazione. Alcuni di questi locali sono sopravvissuti anche nell’uso: vi si applicano ancora i metodi tradizionali della vinificazione, tramandati da generazioni e mai dispersi, anche se rinnovati nella tecnologia. Nel tufo si scavavano anche le palmente, le antiche vasche per la pigiatura. Una grande e pesante pietra di tufo verde è stata utilizzata per secoli dai contadini come peso nella spremitura delle uve: è la “pietra torcia”.
Fra i rilievi calcarei del Màssico e il cono del vulcano spento di Roccamonfina si stende una zona vinicola di storica rinomanza, a cui si aggiungono le produzioni della piana di Caserta. Vi si produce il vino che ha ereditato la fama del Falernum, il grande vino dell’antica Roma: nasce dalle uva migliori e da un suolo di eccezionale vocazione. Completano l’offerta due vini locali di carattere ma di scarsa diffusione, che l’istituzione della Doc ha consentito di preservare: il Bianco Asprinio di Aversa e il rosso Galluccio. L’itinerario parte dal capoluogo provinciale e attraversa il territorio con varie diramazioni per raggiungere le tappe enologiche più significative, che quasi sempre coincidono con località di rilevante significato storico e culturale. Il borgo medievale di Casertavecchia, fondato nel secolo VIII dai Longobardi, si affaccia sulla pianura da un colle. Conserva intatta la struttura, raccolta intorno alla Cattedrale, compiuta nel 1153, che presenta elementi dell’architettura romanico-pugliese, arabo-sicula e benedettina. Già gli Etruschi coltivavano uve per la produzione di aceto nella zona dove sorge il centro rurale di Teverola, alla periferia di Aversa. La città fu la prima contea dei Normanni, che vi innalzarono la Cattedrale, il cui alto tiburio torreggia sull’intrico di vie strette e scorci degli antichi rioni del centro. La Capua di fondazione etrusca, odierna Santa Maria Capua Vetere, era, secondo Cicerone, la più grande e ricca città dell’Italia. Vasi di bronzo, ceramiche a vernice nera e tappeti partivano alla volta dei centri di tutta la regione e delle coste del Mediterraneo. Testimone della prosperità resta l’Anfiteatro campano, costruito tra la fine del I e l’inizio del II secolo, il più grande edificio pubblico del genere dopo il Colosseo. Resti romani emergono anche a Sessa Aurunca: coprono una colata di trachite del vulcano di Roccamonfina, Ad essi si sono aggiunti monumenti medievali e barocchi sul sito dell’Antica Suessa, centro degli Aurunci.
La zona in oggetto è tra le più ricche per cultura, archeologia e bellezze naturali della Regione Campania oltre che per le produzioni agricole da sempre conosciute, come le uve provenienti dai vitigni già citati, gli agrumi tra i quali il limone è diventato il simbolo della riscoperta coltivazione con la relativa IGP e l'olio di oliva al centro di studi e progetti di valorizzazione che vedono interessati i diversi enti locali con la relativa DOP.
La vocazione vitivinicola Fin dall'antichità si hanno testimonianze della particolare vocazione vitivinicola della zona. Nelle numerose ville rustiche rinvenute nell'Ager Stabianus comunemente sono state ritrovate attrezzature utilizzate per la trasformazione delle uve in vino. In queste fattorie si coltivava soprattutto la vite (i vitigni più diffusi erano l'Aminnea gemina minor, la Murgentina, la Holconia e la Vennuncola), che dava un prodotto molto diffuso ed apprezzato. Famosi erano i vini Vesvinum, Pompeianum e Surrentinum (G. Stefani, in "Casali di ieri casali di oggi"). Nelle fattorie vi erano quindi sempre uno o più torchi (torcularium). L'uva veniva prima pigiata con i piedi dai calcatores, poi posta in un cassone sul cui coperchio si faceva leva con un argano alla cui estremità era scolpita una testa d'ariete. La relativa vicinanza del territorio sorrentino con la città mercantile di Pompei facilitava enormemente la commercializzazione delle produzioni locali. In alcuni possedimenti nei quali era diffusa la coltivazione dell'ulivo si sono ritrovati i resti di antiche macine (trapetum) per la molitura delle olive con una tecnologia talmente efficiente che gli stessi ingegneri borbonici, che eseguirono gli scavi alla fine del 1700 ne trassero spunti per migliorare le tecniche di lavorazione allora in uso. La viticoltura della zona è rimasta legata alla tradizione sia per quanto riguarda i metodi di coltivazione sia per l'attaccamento ai vitigni autoctoni. Dalle indagini poste in essere nel corso degli anni si sono potute rilevare nel territorio della Penisola Sorrentina, dal punto di vista vitivinicolo, essenzialmente due areali di produzione: quello della Costiera Sorrentina e quello dei Monti Lattari. Tali areali, pur rientrando entrambi nel territorio della Comunità Montana della Penisola Sorrentina ed avendo notevoli punti di continuità, per quanto riguarda la caratterizzazione vitivinicola risultano differenziati a tal punto da non consentire la riunificazione in un'unica area di produzione.
Per meglio giustificare tale scelta ricordiamo che la zona dei Monti Lattari comprende i Comuni di Castellammare di Stabia, Gragnano, Casola di Napoli, Lettere, Pimonte ed Agerola. La superficie territoriale è di 8289 ettari compresa tra il limite Nord-Ovest della Costiera Sorrentina, del Comune di Pompei ed i confini della Provincia di Salerno. La zona abbraccia una superficie agraria e forestale totale di 7342 ettari. L'origine dei terreni è qui essenzialmente dolomitica e la sistemazione è quella tipica a terrazze. Pur non rilevandosi una tipica coltura specializzata, la tendenza generale della zona è decisamente orientata alla coltura della vite. Tra le forme di allevamento quella più diffusa risulta la pergola con potatura lunga per le uve nere e corta per le bianche. I vitigni più diffusi risultano essere: l' Olivella, il Piedirosso, l'Aglianico e il Santantonio per le uve nere e l'Uva Mosca ed altri cloni locali per le uve bianche.
Nella zona della Costiera Sorrentina rientrano, invece, i Comuni di Vico Equense, Meta di Sorrento, Piano di Sorrento, S.Agnello, Sorrento e Massa Lubrense. La zona abbraccia una superficie totale di 6037 ettari. Pur essendo di natura dolomitica, i terreni, ricchi e profondi, assumono una configurazione particolare, risentendo delle felici condizioni generali, fra le quali deve essere segnalata la prevalente esposizione a Nord. Il numero della aziende agrarie, generalmente di piccole dimensioni, interessate all'allevamento della vite ammonta a poco sopra il migliaio con propensione, nella maggior parte dei casi, per la coltura secondaria, prevalendo nella zona la coltura degli agrumi (in particolare del limone), dell'olivo e del noce. La vite tradizionalmente è allevata ad un'altezza media di quattro metri, ad un piano sovrapposto a quello di copertura degli agrumi. Il sistema di allevamento è, pertanto, a pergola e/o a spalliera alta, con altezze variabili dai quattro fino agli otto metri, specialmente ai confini delle proprietà. Come sostegno generalmente è utilizzato il sostegno morto di castagno. Tra i vitigni maggiormente diffusi ricordiamo: l'Uva del Sabato, l'Uva del Convento, il Piedirosso e l'Aglianico tra i vitigni ad uva nera e la Biancolella, la Falanghina ed il Greco fra i vitigni ad uva bianca.
Con il Decreto Ministeriale del 3 ottobre 1994 è stata istituita la Doc "Penisola Sorrentina" Bianco e Rosso Frizzante Naturale. Il Bianco è caratterizzato da colore paglierino più o meno intenso, da un profumo delicato e gradevole, sapore asciutto e di giusto corpo armonico. I vitigni che ne costituiscono l'uvaggio sono il Falanghina per il 40% minimo, il Biancolella e/o Greco massimo per il 20% ed altri minori per il restante 40 % massimo. La gradazione alcolica minima è del 10%, 11% se etichettato "Sorrento". Le produzioni devono essere limitate a 120 q./Ha, 100 q./Ha se etichettato "Sorrento". Per il "Rosso Frizzante Naturale" il disciplinare produttivo prevede un uvaggio del Piedirosso per il 40% min. dell'Olivella e/o Aglianico massimo del 20% ed altri per il restante 40% massimo. Il vino si presenta spumoso con "perlage" vivace ed evanescente, colore rosso rubino più o meno intenso con profumo intenso e fruttato. Può presentare una vena amabile ed una gradazione minima pari al 10%, 11% se etichettato come "Lettere" o "Gragnano". La produzione delle uve deve essere limitata a 110 q./Ha, 90 q./Ha se etichettato come "Lettere" o "Gragnano".
La Strada del Vino Considerando la differenziazione orografica e territoriale si è ritenuto valido il far coesistere, nell'ambito dell'unica "Strada", un duplice percorso che vada a valorizzare al meglio le peculiarità della zona in esame. Un primo braccio si sviluppa in quell'area individuabile come dei "Monti Lattari", mentre il secondo si allunga in tutto il territorio della "Penisola Sorrentina" riuscendo a sviluppare un grande percorso ad anello ed a allungarsi fino all'Isola di Capri.
Considerando l'importanza che la sottozona "Gragnano" ricopre nella DOC "Penisola Sorrentina" e la collocazione della stessa in prossimità della zona di ingresso della Penisola stessa, si è ritenuto valido collocare all'uscita di Gragnano, della bretella che mette in comunicazione l'uscita dell'autostrada Napoli-Pompei-Salerno di Castellammare di Stabia con la Strada Statale n. 145, l'inizio del tracciato di tale "Strada".
Fin dall'inizio del percorso sarà possibile godere della grande ricchezza che caratterizza questo territorio ed il relativo percorso, infatti, a Gragnano si potranno visitare la "Vinicola Gragnano" alla Via Castellammare di Stabia, lo Stabilimento dei "Pastai Gragnanesi" alla via G. Della Rocca e le due Aziende "Scola" in Piazza F.sco Rocco. Da Gragnano ci si porta, percorrendo via Francesco Raffaele a Casola dove in Via Monticelli sarà visitabile l'azienda "Eco dei Monti" con produzioni tipiche, proseguendo sulla stessa strada si giunge nel Comune di Lettere con le aziende "Mosca" e "Desiderio", qui incontriamo anche il primo agriturismo “Vicedomini” ed il primo esercizio di ristorazione “Il Giardino delle rose” specializzato nella somministrazione di pietanze che si rifanno alla tradizione partenopea e sorrentina. Data la particolare orografia del territorio ed il relativo sviluppo viario in questa zona non è stato possibile organizzare un unico anello percorribile ma scelta una viabilità principale si sono dovute individuare opportune deviazioni per poter raggiungere i siti individuati.
Fatta tale dovuta precisazione si ritorna nel territorio del Comune di Gragnano dove sarà visitabile l'azienda "Coticelli" in località Aurano. Attraversando la frazione di Castello/Borgo Medievale ci si porta verso la Valle dei Mulini, con interessanti testimonianze sulla tradizionale "arte bianca" che ha caratterizzato fortemente lo sviluppo della città stessa e da questa percorrendo la Strada Statale per Agerola ci si porterà nel territorio del Comune di Pimonte dove in via Nazionale sarà visitabile la "Vini Iovine" e l'agriturismo "Donnarumma Tommaso" in via Muriscolo. Anche a Pimonte sarà possibile soggiornare grazie alla presenza dell'agriturismo "La Casa del Ghiro" ed all'azienda "Le feste Campagnole" entrambe in via S. Nicola e gustare le pietanze tipiche della zona grazie alla presenza del ristorante "da Silvia" in via Nuova Tralia. Infine il percorso si conclude con l'agriturismo "Il Castagno" in Agerola alla via Casanova.
Il secondo percorso si sviluppa, invece, nel territorio più precisamente peninsulare e quindi risente di tutta l'influenza che tale territorio a forte vocazione turistico-recettiva è in grado di offrire. Il primo comune ad esserne interessato è quello di Castellammare di Stabia nel cui territorio sono collocate le Terme (sia Vecchie che Nuove) facilmente raggiungibili dalla stessa uscita Gragnano indicata precedentemente. Lasciandosi Castellammare di Stabia alle spalle lungo la Strada Statale n.145, citata nel primo percorso, si giunge a Vico Equense a picco sul mare. Prima di giungere nel centro abitato si incontrano le “Terme dello Scrajo”, uno dei luoghi balneari di maggior importanza della Costiera Sorrentina, per poi proseguire entrando nel centro abitato di Vico potendo visitare la ditta "Gabriele" che rappresenta un esempio di indovinata imprenditorialità improntata sulla valorizzazione dei prodotti tipici della Penisola Sorrentina. Ancora a Vico è possibile visitare l'enoteca "Diego" con un'ampia scelta dei vini locali a Denominazione D'Origine, l'"Apicoltura Aequana" con la produzione miele, propoli e pappa reale ed il locale "Pizza Town". Altre aziende interessate dal percorso e situate nel Comune di Vico Equense saranno inserite nella fase terminale del percorso.
Proseguendo lungo la Statale n. 145 si giunge a Meta di Sorrento, qui sarà possibile soggiornare data la presenza degli agriturismi "L'Agrumeto" in località Casa Astarita e "La Pergola" in Località Traviri, entrambi caratterizzati da una ampia valorizzazione delle produzioni tipiche della zona. Proseguendo lungo la strada litoranea si arriva nel Comune di Piano di Sorrento dove in via Bagnulo sarà possibile visitare l'azienda apicola "Miele d'Angelo". Nel Comune di S. Agnello è possibile incontrare due tra le più interessanti esperienze di valorizzazione delle peculiarità del territorio sorrentino e cioè il Consorzio “Terre delle Sirene" in via Balsamo e la Cooperativa "Solagri" in via S.Martino.
Dopo aver attraversato il territorio di S. Agnello si giunge nel Comune di Sorrento, qui la possibilità di entrare in contatto con la "tradizione" raggiunge il suo apice, oltre al percorso storico individuato nella relazione allegata alla domanda di riconoscimento segnaliamo le enoteche "L'Alambicco” in via S.Cesareo, "Baccus" in Piazza S.Antonino, "Vineria Bollicine" in via Dell'Accademia,"Vizi e Sfizi" in via Fuoro e "L'acino di Vino" tutte caratterizzate da un'ottima offerta di vini doc della zona in esame. Sempre a Sorrento sarà possibile gustare anche le specialità tradizionali della cucina della Penisola Sorrentina rivolgendosi ad esercizi di ristorazione specializzati in tale tipo di offerta quali i ristoranti "Caruso" in via S. Antonino, "Tasso" in via Correale, "Il Buco" in via II Rampa Marina Piccola. Ancora a Sorrento si potrà visitare la Cantina "De Angelis" in via Marziale e l'azienda agricola "Li Portali" con produzioni di olio extra vergine Penisola Sorrentina DOP e Limone di Sorrento IGP Biologico.
Proseguendo oltre Sorrento si incontrerà il Comune di Massa Lubrense con il ristorante "Antico Francischiello" in via Partenope e la più alta concentrazione di agriturismi. Incontriamo infatti l'azienda "Torre Cangiani" in località Vigliano con uno splendido esempio di pergolato sorrentino e la possibilità di alloggiare in una Torre Normanna, l'azienda "La Lobra" in località Marina della Lobra. Proseguendo in via Partenope incontriamo l'azienda agricola "La Villanella" ed in via Liparulo l'agriturismo "Il Convento". Sempre nel Comune di Massa Lubrense è possibile visitare in via Massa Turro l'azienda "Nettare degli Dei" ed il Frantoio dell'"Olearia Massese" in via Annunziata dove sarà possibile assistere alla lavorazione delle olive nel periodo di raccolta e trasformazione. In via Metrano si potrà visitare l'azienda agricola "Gargiulo Giuseppe". Nella Frazione di S.Agata dei Due Golfi oltre lo splendido panorama sarà possibile visitare l'azienda agricola biologica "Le Peracciole" in C.so S.Agata ed in via Pontone, a ridosso della omonima foresta, l'agriturismo "Le Tore" azienda certificata come biologica e presso la quale è possibile acquistare olio extra vergine Penisola Sorrentina ed altri prodotti aziendali.
Proseguendo nella zona alta della Penisola Sorrentina si rincontra il territorio di Piano di Sorrento con l'azienda agrituristica "Piccolo Paradiso" alla via Nastro Azzurro, una strada tra le più panoramiche di tutta la Penisola. Ancora in via Galatea avremo l'agriturismo "Galatea" ed in localita Astapiana alla via Camaldoli l'agriturismo "Astapiana". Proseguendo si rientra nella parte alta del Comune di Vico Equense e si incontra alla via Sava il Caseificio "La Verde Fattoria del Monte Comune" presso il quale si può assaporare tutta la tradizionale arte che porta alla produzione del "Provolone del monaco". Il percorso si conclude riallacciandosi al percorso litoraneo dopo aver toccato l'agriturismo "La Ginestra" in località S. Maria al Castello in via Tessa e il ristorante "Franco Pastore" in via S. Francesco.