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Il fungo Porcino di Borgotaro è l'insigne ospite di una strada che si snoda principalmente nell'alta Val Taro, congiungendosi a Nord - Est con la Val Baganza (e la strada del Prosciutto e dei Vini dei Colli ) e, a Ovest, con la Val Ceno e il crinale che divide l'Appennino parmense da quello Piacentino. A Sud si apre alle vie del mare .... il territorio porta in dote alcuni dei più affascinanti scenari dell'intero crinale appenninico; è armoniosamente composto dai rilievi che risalgono dai numerosi corsi d'acqua per giungere alle vette dei confini liguri e toscani. E' una terra ricca di storia, contrassegnata dai castelli, dai borghi medioevali, dagli antichi luoghi di culto.

Per secoli i sentieri della fede si sono sovrapporti ai traffici commerciali che dalla Francia e dalla Pianura Padana volgevano al mare. L'escursione naturalistica può trovare proprio qui le mete più felici. E' anche una conosciuta terra di vacanze : si anima d'estate con le feste e ridà appuntamento al turista in autunno per il menù più stuzzicante ... entra in scena il fungo Porcino di Borgotaro, accompagnato dalla gustosa tradizione gastronomica della montagna parmense.

Con gli "Itinerari Enogastronomici dell'Emilia-Romagna" da Piacenza a Rimini, la valorizzazione turistica e la tutela delle tradizioni entrano nel cuore della cucina regionale. Nato dall'ideazione congiunta degli Assessorati all'Agricoltura e al Turismo, il progetto speciale, Delibera Reg. 390/99, intende giocare con l'enogastronomia una carta di qualità nel turismo emiliano-romagnolo.

La promozione dei vini, delle produzioni agroalimentari e dei piatti tipici si sposa infatti con una qualificazione in parallelo dei prodotti territoriali, fra cui godono di particolare attenzione quelli a marchio DOC, DOP e IGP.

Il censimento regionale dell'offerta enogastronomica, gli standard di qualità per la certificazione delle aziende aderenti agli itinerari e lo Statuto per i Comitati locali di gestione sono già stati realizzati. A queste azioni si affiancano la sensibilizzazione e il coinvolgimento sul territorio di tutti i soggetti - dalle aziende alle associazioni - interessati agli itinerari.

I punti di riferimento, in questo caso, sono le Province e gli Enti locali. Il coordinamento è a cura degli Assessorati regionali, in collaborazione con APT Servizi e con la consulenza di una equipe tecnico-scientifica di esperti.

Marinai-contadini con “un piede sulla barca, un altro nella vigna” sono stati definiti gli abitanti della Costiera Amalfitana. La natura ha creato paesi di case una sull’altra, di viuzze tortuose, di piccoli slarghi, e spinto le coltivazioni su faticati ripiani e terrazze artificiali. Qui vengono coltivati i vitigni tradizionali, che, però, l’isolamento e la faticosa quotidiana frequentazione hanno dotato di nomi locali.

Così la Falanghina è diventata Bianca Zita; la Biancolella, Bianca Tenera; lo Sciascinoso, Olivella, I vini che se ricavano sono raccolti nella Doc Costa d’Amalfi. La Strada che porta a conoscerli si snoda tortuosa, seguendo le asprezze della costa, in mezzo a terrazze a strapiombo che sorreggono vigneti pensili e aprono all’improvviso squarci di mare. Le cittadine si adagiano su contrafforti o in valloni e mostrano le splendide architetture della loro storia gloriosa. Fra tutti: Amalfi, con il Duomo e il Chiostro del Paradiso, e Ravello, con case e palazzi che conservano il ricordo dei commerci con l’oriente, e lo splendido Duomo.

Anche la Costiera, come molto altri luoghi del Mediterraneo, aveva le proprie Sirene: secondo una delle numerose tradizioni, sono gli scogli Li Galli il luogo da cui le ammaliatrici cercarono invano di convincere Ulisse a seguire il loro canto melodioso: le orecchie tappate di cera permisero all’eroe di superare indenne la tentazione. Un’opera molto più tarda, però, scredita Odisseo: secondo un Dialogo sugli eroi del III secolo, sarebbero state, invece, le Sirene a rifiutare quel marinaio ormai appassito.

L’Isola di Capri da più di due millenni ospita l’uomo, che vi ha trovato le migliori condizioni di vita. Prima che di folle di turisti, di ricchi borghesi, di raffinati intellettuali, di stranieri in cerca di sole, l’isola è stata residenza di imperatori romani: Augusto e soprattutto Tiberio che fece costruire Villa Jovis. Dell’edificio, di proporzioni grandiose, restano solo i ruderi in posizione favolosa. Secondo Svetonio, l’imperatore, temendo tradimenti e congiure, la volle a Capri perché “vi si giungeva da un solo lato, su una spiaggia ristretta, circondata da rocce a picco, di grande altezza e da un mare profondo”. La coltivazione della vite ha accompagnato i millenni; i pendii terrazzati e le pendici del monte Solaro accolgono ancora i vigneti che producono uve di Falanghina, di Biancolella, di Greco, di Piedirosso da cui si ricavano i vini della Doc Capri.

Quella del Sannio beneventano è una viticoltura dinamica, tecnicamente all’avanguardia, con vigneti in evoluzione e cantine ben attrezzate. La provincia è la realtà trainante dell’intero settore campano, con un significativo 40% della produzione regionale al proprio attivo.

L’itinerario ha come punto di riferimento la città capoluogo. Benevento conserva un monumento romano che ha superato per grandiosità e ricchezza di decorazioni l’Arco di Tito, il modello da cui deriva. E’ l’Arco di Traiano, del 114 d.C., che celebra le imprese civili e militari dell’optimus princeps, l’imperatore che lo fece costruire. Fu innalzato per segnare l’inizio della Via Traiana, che abbreviava il percorso della Via Appia da Benevento a Brindisi. La sua inclusione nel nuovo arco di cinta delle mura dopo la conquista longobarda del 570, lo ha preservato dalla distruzione e dal degrado, e gli ha conservato il nome di Porta Aurea. Restauri recenti lo hanno riportato all’antico splendore.

La Strada attraversa conche e risale colline ricche di vigneti, uliveti, boschi. Raggiunge centri agricoli ricchi di testimonianze culturali e artistiche troppo spesso ignorate. Collega importanti cittadine che hanno visto riconosciuti con l’attribuzione della Doc l’impegno, la passione, la fatica e la competenza profusi a lungo nel perseguimento di obiettivi giustamente ambiziosi, come Solopaca e il comune di Taburno.

Nel nome di S. Agata dei Goti si saldano i Sanniti Caudini, che abitarono il sito di Saticula, e i Goti che vi si insediarono dopo la guerra del 553. Guardia Sanframondi si manifesta nei ruderi di un castello e nella posizione strategica in cui i Longobardi la fondarono; la famiglia che la tenne nel Medioevo ha lasciato nel nome il ricordo di sé.

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