Assovini
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Il tracciato principale si snoda lungo il Tratturo regio che percorre il territorio dell’Alta Murgia. Al paesaggio di campi e uliveti si sostituiscono, attorno ai 300 metri, i filari delle viti, che occupano pendii e terrazzamenti. Al di sopra, steppa, pascolo e seminativo contendono lo spazio alle manifestazioni del carsismo. Dalla Strada si dipartono tracciati longitudinali che, attraversano i territori della transumanza, insediamenti rurali con antiche cantine, e campi chiusi, dove i filari dei vigneti si alternano a colture erbacee e a mandorleti.

Due circuiti distinti hanno come centri rilevanti rispettivamente Trani e Bitonto. A dominare i due percorsi sorge su un colle, isolato ed enigmatico, il Castel del Monte. Fu voluto e forse progettato, nel decennio 1230-1240, da Federico II come ritrovo di caccia, e certamente era destinato a piaceri colti e raffinati. Qui l’imperatore avrebbe scritto il brillante trattato “De arte venandi cum avibus”, sulla caccia con il falcone. Sorpresa e mistero suscitano la struttura ottagonale, con otto torrioni angolari, e l’orientamento: ha fatto supporre funzioni di osservatorio astronomico, basate anche sulla corrispondenza dell’altezza di 20,5 metri con quella dello gnomone, che veniva piantato a terra per calcolare, dall’ombra, le ore del giorno. Grande saggezza costruttiva emerge dal complicato sistema a doppio spiovente che convogliava l’acqua piovana nelle cisterne e in tutti i numerosi servizi igienici presenti nell’edificio.

C/o Cantine Botromagno


Il paesaggio è percorso in superficie da depressioni circolari, burroni e fratture improvvise. In profondità si snodano innumerevoli grotte e caverne scavate da fiumi sotterranei che si aprono la via verso il mare. Gli elementi più tipici del paesaggio sono le profonde e tortuose voragini delle gravine, spettacolari fenditure dalle pareti ripide, profonde anche qualche centinaio di metri. Il nome deriva da “grava”, termine del remoto lessico mediterraneo che indicava la spiaggia, o il greto del fiume, ma le dimensioni monumentali le fanno apparire talvolta come dei veri e propri canyon.

Le acque penetrano nel sottosuolo, scavano gallerie sotterranee, provocano frane, crolli di volte e di pareti, originando grandi caverne. Le grotte di Castellana sono le più estese cavità sotterranee di origine carsica in Italia. La loro formazione è legata all’antica esistenza di un corso d’acqua sotterraneo che si è aperto un varco attraverso la massa calcarea. Oggi è scomparso, ma segni evidenti della sua presenza permangono nelle ampie caverne, dalle cui volte scende una miriade di stalattiti che spesso si saldano alle stalagmiti in lucenti colonne. Come tutte le cavità del territorio, erano già utilizzate nel Medioevo come discarica delle sanse e delle vinacce di scarto. Esplorate da giovani del luogo già nel ‘700, furono rese accessibili dopo il 1938. Dal fondo dell’ampia voragine a cielo aperto della Grave, profonda 60 metri, si apre una serie di cavità alte fino a 40 metri, che si allungano per tre chilometri e terminano nella Caverna Bianca dalle finissime e trasparenti concrezioni di alabastro.


IL PERCORSO

La Strada dei Vini Doc della Murgia Carsica si sviluppa in quell'area di produzione posta a Nord Ovest e a Sud Est della Puglia centrale che si articola nella Provincia di Bari e comprende i territori dei comuni di Spinazzola, Poggiorsini, Gravina in Puglia, Altamura, Gioia del Colle, Cassano Murge, Acquaviva delle Fonti, Santeramo, Sannicandro, Casamassima, Grumo Apulla, Noci, Putignano, Castellana Grotte, Sammichele, Conversano, Rutigliano, Adelfia, Turi. L'ambito del territorio è delimitato dai disciplinari di produzione dei vini a denominazione di origine controllata "Gravina" "Gioia del Colle". Il territorio comprende geograficamente parte della Murgia Nordoccidentale e quasi tutta la Murgia Sud-Orientale insieme alla fossa bradanica che guarda il costone murgiano Nordoccidentale dell'asse Spinazzola- Poggiorsini-Gravina.

La denominazione Gioia del Colle comprende nove tipologie di vini: Bianco, Rosso, Rosso Riserva, Rosato, Primitivo, Aleatico Dolce Naturale. Nell'Aleatico la percentuale di uve omonime non deve essere inferiore all'85%, con possibilità di aggiunte di negroamaro, malvasia nera, primitivo. Il Gioia del Colle Rosso è probabilmente la tipologia di vino che meglio esprime caratteri di tipicità locale, e che si accosta molto bene ai sapidi piatti a base di carne della tradizione territoriale. Molto adatto a una cucina terragna, di carni ma anche di formaggi piccanti, è il Primitivo di Gioia, un vino di colore rosso rubino piuttosto cupo, dai profumi varietali, caldo per tenore alcolico e ampio al palato. Il Gioia del Colle Bianco è un vino fresco, da consumare giovane, con piatti a base di pesce, mentre l'Aleatico, dal bel colore rosso granato, è un vino da fine pasto, dal gusto vellutato e caldo, moderatamente dolce. Gravina Doc.

Osservando i terreni di aree archeologiche come, ad esempio, gli scavi di Botromagno, di poco fuori il centro storico della città, è possibile capire qualcosa in più sui fattori che influiscono, dal punto di vista pedologico, sulle caratteristiche di un vino come il Gravina. La composizione stratificata, infatti, evidenzia un primo strato vegetale sotto il quale sono ben evidenti quello argilloso e poi tufaceo. I vigneti iniziano a vedersi in prossimità degli scavi, per un'estensione che oggi è circa di 400 ettari (da 2700 che se ne contavano nel 1977), per un vino che ha una netta impronta territoriale. Il Gravina Bianco è ottenuto sostanzialmente da uve Greco e bianco di Alessano in percentuale compresa tra il 35 e il 60%, e da malvasia per una quota tra il 45 e il 60%, con possibilità di aggiunte di modeste percentuali di bombino bianco, trebbiano, verdeca. I comuni interessati alla produzione della denominazione sono quelli di Gravina, Poggiorsini, Altamura, Spinazzola.

In questi territori il settore agricolo si impone soprattutto per le colture cerealicole e viticole, mentre alcuni centri urbani sono emergenti sotto il profilo socioeconomico, soprattutto per le capacità imprenditoriali assunte nei settori dei servizi terziari e nelle piccole e medie imprese, fra questi Altamura, Gravina, Santeramo, Noci, Putignano, Castellana. Forti nelle produzioni delle uve da tavola i comuni di Conversano, Rutigliano, per le uve da vino Spinazzola, Poggiorsini, Gravina, Gioia del Colle, Santeramo in Colle, Acquaviva delle Fonti, Cassano delle Murge, Adelfia. Produzioni che accomunano tutti i territori comunali interessati dalla Strada sono quelle casearie, in particolare le produzioni di mozzarelle, i formaggi freschi, di cacioricotta e di caciocavalli.

La Strada del vino "l'Appia dei vini", è un percorso che si instaura all'interno di un territorio denominato dagli antichi greci "Enotria", che significa appunto "terra del vino", per via della straordinaria estensione dei vitigni dalle elevate rese. In seguito alla dominazione romana, assunse il nome di Apulia, dall'omonima popolazione degli apuli, stanziata nella zona del Gargano; nome che venne applicato all'intero territorio pugliese. Per millenni la Puglia - grazie anche alla sua centralità geografica e specificità territoriale, ponte naturale tra l'Europa, l'Africa del nord e il Medio Oriente - è stata considerata in ambito vinicolo, come una sorta di enorme "cantina" ; un'autentica patria dei vini da taglio.Nella strada del vino "l'Appia dei vini" esistono varietà indigene di vitigni, tra cui spiccano le robuste coltivazioni a frutto nero, che consentono la preparazione di Negroamaro, Primitivo e Malvasia nera. A queste si sono affiancate nel corso degli anni, le coltivazioni indigene dei vitigni a uva bianca. Partendo da Ostuni, adagiata su tre colli di un territorio che si estende dalle ultime propagini delle Murge sino al mare Adriatico, la città gode di una posizione privilegiata tra le colline verdeggianti, i trulli, le case bianche, gli oliveti, le spiagge sabbiose. Incontriamo ricche zone agricole, con uve sia bianche che nere, da cui derivano vini bianchi e leggeri, ma anche rossi non eccessivamente corposi. Il vino Ostuni è prodotto in due tipologie: Bianco e Ottavianello.

Il bianco è ottenuto principalmente da uve Impigno e Francavilla. L'Impigno fu importato nella zona di Martina Franca verso l'inizio di questo secolo, da un agricoltore ostunese, soprannominato appunto "Impigno". Il vitigno Francavilla è discretamente diffuso in molti Comuni della zona di produzione dei vini bianchi della provincia di Brindisi.Il tipo Ottavianello, è ottenuto in massima parte dal vitigno omonimo, conosciuto in Francia con il nome di Cinsaut. Proviene dalla Campania e precisamente dalla zona di Ottaviano, da dove è stato importato per iniziarne la coltivazione, a partire dalla zona di S.Vito dei Normanni. Generalmente entra in uvaggio, così come per l'Ostuni Ottavianello, con le uve del Negroamaro.All'interno della strada del vino "l'Appia dei vini", le zone di produzione delle tipologie dei vini Bianco e Ottavianello, sono i territori comunali di Ostuni, Brindisi, Latiano.Il nome del vitigno Negroamaro denuncia la sua antichità, infatti risale almeno al periodo della Magna Grecia e deriva dalla ripetizione dello stesso termine in due lingue diverse: nero, che in latino si pronuncia "niger" ed in greco "maru", da cui "Negro Amaro".I vini Rosso Brindisi e Rosato Brindisi, sono a base di Negroamaro, un vitigno dal grande profilo che rappresenta la chiave di successo dei rossi esplosivi e dei rosè. Il Negroamaro costituisce la base di tutta la produzione, in quanto, pur partendo dallo stesso vitigno, si ottiene una gran varietà di prodot-to, proprio a causa delle varie caratteristiche dei terreni.A proposito di storia, pare simpatico ricordare che la tradizione popolare, riporta che il nome della città di Brindisi, fu coniato dagli antici navigatori, i quali, al momento dell'imbarco alla volta del Medio Oriente o la Grecia, amavano levare i calici colmi di vino in segno di buon auspicio.

I vini della terra di Puglia, infatti, sono sempre stati presenti sulle tavole della Roma antica; Tibullo, Plinio il Vecchio e Orazio, hanno lasciato nei loro scritti ampi dettagli sui processi di coltivazione e vinificazione dell'uva in questo territorio. Plinio richiamava sempre i vini di "Canosium" e di "Brundisium", Orazio li esaltava nel suo "Merum Tarentinum". Lo stesso termine "merum", veniva usato dai romani per distinguere il vino pugliese, puro e corposo, dal tipo semplice, magari senza il giusto abboccamento, che chiamavano "vinum". Il termine è in uso tutt'oggi nel dialetto pugliese, riadattato in "mejre", senza il quale ogni pasto è considerato incompleto, insipido e poco armonico.La floridezza della viticoltura in tutto il teritorio della Strada ai tempi della Magna Grecia e di Roma, oltre ad esserci raccontata da storici antichi, è evidenziata dai reperti archeologici: relitti di navi greche specializzate nel trasporto del vino; vasi antichi con immagini dedicate al vino; monete romane coniate a Brindisi con temi e scene enoiche.La terra di Brindisi, favorita dalle condizioni climatiche mediterranee, è sin dall'antichità, una delle zone più rinomate per la produzione vinicola. Con il passare del tempo, l'amore per l'arte della vinificazione non si è mai affievolito, anzi, conservando le più sagge tradizioni ha sempre affinato tecniche ed esperienze per ottenere vini di indubbia qualità.Oggi la collaborazione tra aziende locali ed enologi esterni, non può che essere destinata ad una continua crescita del livello qualitativo e del profilo dei vini della Strada.

C/o Cantina sociale di Locorotondo


La Strada del Vino che da questi due incantati paesi prende il nome, coinvolge il territorio della Murgia Sud Orientale, detta anche Murgia dei Trulli, che attraversa i comuni di Alberobello, Martina Franca, Locorotondo, Fasano, Costernino, Ostuni, Ceglie Messapica, affacciandosi sulla magica Valle dei Trulli, per poi proseguire per Crispiano.

La Valle d'Itria è un lembo di terra unico al mondo che ha visto nel corso dei millenni il fluire di tante civiltà; dai cacciatori del paleolitico agli abitanti dei villaggi capannicoli dell'età del bronzo, è stata testimone degli insediamenti messapici e delle centuriazioni romane.

A differenza di quanto avviene in gran parte del territorio pugliese, nella Valle d’Itria i contadini abitano stabilmente sul fondo. I trulli erano le costruzioni più adatte alla povertà del materiale, fornito in abbondanza dai terreni che dovevano essere faticosamente liberati dalle schegge di calcare. Freschi d’estate e caldi d’inverno, e perciò assai idonei alle esigenze imposte dal clima, si diffusero, dal ‘700, anche nelle città.

Al 1559 risale l’esemplare più antico conservato fino ad oggi. La copertura a falsa cupola rimanda alla tholos micenea, e i trulli paiono discendere da costruzioni circolari a torre della civiltà megalitica mediterranea. Il nome deriva, infatti, dal greco troullos, “cupola”. Il cono di conci sovrapposti a secco è chiuso alla sommità da un’ultima pietra, sormontata da un pinnacolo decorativo, conico, sferico o poliedrico. Semplici disegni tracciati a latte di calce hanno funzioni magiche o religiose. L’unico vano della forma originaria è stato affiancato spesso da altri ambienti, e a volte trulli riuniti in gruppi comunicavano per mezzo di archi. Il più grande dell’abitato di Alberobello è detto Sovrano: alto 14 metri, è l’unico a due piani.

La costruzione veniva agevolata dalla conformazione stessa del materiale. Infatti le stratificazioni della roccia offrivano già pronti i “pezzi” necessari per le diverse funzioni: più spessi per i muri perimetrali e per i muretti che dividevano i terreni, via via più sottili per le “chianche” dei pavimenti e per le “chiancarelle” delle coperture. La spiegazione della diffusione e della durata di queste costruzioni sembra derivare dal passato feudale, e particolarmente dall’imposizione di costruire a secco, che dava al signore la facoltà di cacciare il colono demolendone l’abitazione. La costruzione a secco, infatti, non offriva nessuna garanzia giuridica di stabilità. Secondo un’altra tradizione, Girolamo II di Acquaviva, detto il Guercio di Puglia, per sfuggire ai pagamenti fiscali imposti dalla corona, costrinse i contadini a costruirsi queste abitazioni, che potevano essere rapidamente smontate all’arrivo degli agenti del fisco del re.

Lo sviluppo della viticoltura risale alla fine del XIX secolo, in concomitanza con una grave crisi che colpì la viticoltura francese causata dalla filossera. Fu allora che per la coltivazione della vite fu impiegato un sistema di coltura basato su un porta-innesto di tipo americano che supportava i vitigni. Questa pratica col tempo fu raffinata: il terreno roccioso veniva spietrato e scavato, le radici del vitigno venivano piantate in profondità a contatto con il fresco della roccia e preziose sostanze minerali; lo scasso veniva poi colmato con terreno vergine raccolto tra una falda rocciosa e l'altra. Ancora oggi lo stesso sistema di impianto e coltura della vite ad Alberello segue questo antico rituale e consente di difendersi dalla siccità. I due vitigni che esaltano le qualità del terreno carsico e del clima fresco della Valle d'Itria sono la Verdesca e il Bianco d'Alessano che si adatta alle zone più aride e alle spalle collinari. Questi due vitigni consentono la produzione di due splendidi vini bianchi, unici al mondo, gradevoli, ricchi di antiossidanti e quindi salutari. Il territorio interessato dalla Strada del Vino è quello delle Denominazioni di Origine Controllata Locorotondo e Martina Franca.


 

IL PERCORSO

Percorrendo la Strada del Vino, le enormi distese di vitigni si alternano con i mandorli e gli ulivi, facendo da cornice al paesaggio più fiabesco della Puglia, quello punteggiato dai trulli, le originali e bizzarre costruzioni a secco a pianta centrale sulla quale si innalza la caratteristica cupola a forma di cono, testimonianza vivente della laboriosità e dell'ingegno delle popolazioni locali. Queste primitive abitazioni, fresche d'estate e calde d'inverno, furono costruite con la pietra sottratta alla terra da coltivare, ed oggi sono patrimonio dell'umanità tutelato dall'UNESCO.

Insieme alla caratteristica vegetazione e ai trulli, non mancano di incantare le casette rurali tinteggiate con colori vivaci e, circondate da macchie di bosco mediterraneo, le bellissime, antiche masserie, un tempo centri specializzati per la coltivazione della vite. Queste le località che incontra la Strada dei Vini: Alberobello, la località nella quale i trulli assumono dimensione urbana (il centro storico ne conta infatti più di mille sui quali spicca il cosiddetto Trullo Sovrano, una costruzione a due piani che si erge sul fondo del Corso Vittorio Emanuele) Martina Franca, raffinato palcoscenico di arte barocca Roccocò, più vicina al Barocchetto romano che al Barocco leccese, bellissimo il Palazzo Ducale, oggi municipio della città; Locorotondo che si offre al viaggiatore che giunge da Martina Franca, con il suo impianto circolare da cui deriva il nome e con i suoi caratteristici tetti spioventi dette "cummerse" che servivano per la raccolta dell'acqua la cui penuria ha sempre caratterizzato questa terra.

Fasano, che gode di una incantevole posizione a metà strada tra la collina della Selva, di Laureto e del Canale di Pirro e il mare cristallino del Basso Adriatico; Cisternino, la cui architettura spontanea del centro storico e la meravigliosa vista sulla Valle d'Itria non potranno che incantare; Ostuni, famosa anche come "la città bianca" per le abitazioni bianche di calce del suo centro storico costituito da un pittoresco intrico di stradine di impianto medievale; Ceglie Messapica, una delle più antiche città della Puglia ricca di testimonianze storiche, infine Crispiano che custodisce numerosi insediamenti rupestri tra cui spicca la Cripta di S. Paolo scavata dai monaci Brasiliani che fondarono la città.

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