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Il Sulcis è la patria del Carignano, uno dei rossi emergenti della viticoltura isolana, affiancato da Monica e da Vermentino di Sardegna.

L’itinerario prende il via da Iglesias, florido centro minerario di fondazione pisana sorto, dall’unione di più abitati, attorno a diversi edifici di culto che le diedero il nome: Villa Ecclesiarum. La città iniziò, così, la sua storia come un comune toscano posto sotto dominio pisano: l’amministrazione venne affidata al Conte Ugolino della Gherardesca. Carbonia è nata, invece, dalla scelta di utilizzare a pieno i giacimenti carboniferi del Sulcis. Fu progettata a tavolino, costruita in due anni e inaugurata nel dicembre 1938.

Percorrendo l’istmo di tre chilometri che la collega all’isola madre, la Strada approda sull’isola di Sant’Antioco omonima della città principale. La città è l’erede della fenicia Sulci, sorta su un insediamento nuragico. La popolano i discendenti di gruppi di liguri, come la vicina isola di S. Pietro, a cui si aggiunsero gruppi di piemontesi. Sono le isole della solitudine, delle calette nascoste e delle spiagge deserte, dei faraglioni di trachite rossa e delle pareti di roccia chiara che si inabissano nel mare turchese. Boschi di pini d’Aleppo e cespugli della macchia mediterranea mescolano i loro profumi a quelli dell’aria salsa del mare. L’esiguità del territorio non impedisce alle vigne di prosperare sull’ isola minore e di produrre una vasta gamma delle Doc più rappresentative dell’enologia sarda.

Di nuovo nel Sulcis, la Strada attraversa le colline distese ad arco fra Tratalias e Teulada, coperte dai vigneti della Igt Valli di Porto Pino. Nel territorio di Santadi il clima caldo e asciutto esalta le qualità delle uve locali. Protagonisti della produzione di estesi vigneti sono il bianco Doc Nasco di Cagliari e soprattutto il rosso Doc Carignano del Sulcis.

L'ambiente, la gente, la sua storia e le sue tradizioni. Un territorio è definito dal complesso di questi elementi e un grande vino ha la capacità di descrivere l'armonia che tra questi si è creata in secoli di convivenza. La Planargia è un'antica terra abitata da genti orgogliose del proprio passato e profondamente legate a questo.

La Strada della Malvasia di Bosa è una proposta di visita del territorio che, partendo dal suo simbolo più nobile, vi conduce, tramite i diversi percorsi di interesse paesaggistico-ambientale, culturale ed umano, al cuore profondo dell'anima della nostra terra.

La Strada della Malvasia di Bosa è costituita da aziende vitivinicole, agrituristiche, da hotel, da ristoranti, da sei comuni e dalla Comunità Montana Marghine Planargia: questi soggetti, tramite propri rappresentanti, hanno dato vita all'Associazione della Strada della Malvasia di Bosa, organismo deputato alla sua gestione.

Il versante a mare del territorio si segnala soprattutto per la potente produzione di Cannonau di Sardegna, d’impronta tradizionale o più innovativo. Notevoli sono anche il Monica, il Moscato, il Vermentino di Sardegna, il Sardegna Semidano, il Nepente di Oliena.

La Strada compie un circuito che, partendo dall’Ogliastra, si snoda nel territorio alle spalle del Golfo di Orosei, nel Supramonte e alle pendici del Gennargentu. Qui l’incredibile voragine del monte Tìscali nasconde, a 518 metri di quota, un insediamento nuragico del VI secolo a.C. che avrebbe saputo resistere forse per secoli all’incalzare delle truppe romane.

Dal mare di Arbatax fino alle Barbagie si stende il territorio dell’Ogliastra, di aspre rocce variate, ma anche di pascoli, di uliveti annosi, di vigneti. I paesi si arrampicano a mezza costa, sul versante meridionale dei rilievi, con case dai ballatoi di legno e dai tetti di pietre sporgenti.

Arbatax offre lo scenario splendido delle sue Rocce Rosse, il porfido, che colora anche l’Isola dell’Ogliastra, al largo di S. Maria Navarrese. Percorso un tratto parallelo alla costa, la Strada si inerpica lungo le pendici del Gennargentu e, dopo Baunei, raggiunge Urzulei.

Quindi ritorna sul mare e scende a Cala Gonone, dove la Grotta del Bue Marino aspetta ancora che la foca monaca torni a far riecheggiare le volte dei suoi “muggiti”. Poco distante, Dorgali è famosa per i vini, tra i quali il più noto è il rosso, forte Cannonau, ma anche per la lunga tradizione artigiana che produce raffinate filigrane d’oro e d’argento, ceramiche, manufatti in cuoio e in pelle, opere di tessitura.

Presso Oliena, nota per gli scialli delle donne e per le belle case, i vigneti si stagliano sulle rocce dirupate e brulle del Supramonte. Il centro deve il nome alla coltivazione dell’ulivo, introdotta dai Gesuiti nel ‘600, ma Oliena è nota per il Nepente, un rosso forte decantato da Gabriele D’Annunzio che chiamò così il Cannonau locale, assimilandolo alla bevanda cui i Greci antichi attribuivano la proprietà di suscitare sogni e visioni.

La tradizione e l’originalità culturale della Sardegna interna sono adagiati sopra un’accidentata dorsale granitica che si allunga dal monte Ortobene: qui si stende Nuoro, che ha il mare non lontano, ma che è legata profondamente alla montagna. Qui nacque nel 1871 Grazia Deledda, che ha narrato e fatto conoscere la sua terra. Un Museo ospitato nella sua casa ne conserva ricordi e cimeli.

Attraversando le Barbagie, la Strada raggiunge Fonni, tra i boschi delle pendici settentrionali del monte Spada. A 1000 metri di altitudine, è il centro più elevato della Sardegna, e l’unico in cui si possa sciare. Costeggiando il Lago alto del Flumendosa, arriva a Lanusei, capoluogo storico dell’Ogliastra, immersa nei boschi e rivolta a guardare il mare dal pendio montano. Scendendo a Tortolì, vede stagliarsi all’orizzonte gli agrumeti che fanno corona ad Arbatax.

La Strada si allunga in un altro circuito minore che raggiunge Jerzu, paese antico sullo sfondo dei “tacchi”, le guglie calcaree dell’Ogliastra.

I vigneti che scendono verso Barisardo da Villagrande, da Cardedu, dalla valle del Pardu si allargano a riempire ogni lembo di terra soleggiata e conservano i segreti del Cannonau, il rosso per eccellenza, che nei secoli passati riempiva le stive delle navi genovesi e pisane.

I vigneti si distribuiscono uniformemente nelle terre settentrionali dell’isola: nell’area occidentale la Strada attraversa il paesaggio vinicolo della Nurra e delle bonifiche di Alghero, per poi scendere lungo la costa fino a Bosa. Un vitigno dai grandi esiti è il Moscato, che nella zona di Sorso-Sennori dà origine all’omonima Doc. Nel territorio di Alghero la produzione deriva sia da uve importate, sia da uve autoctone, come Torbato e Cagnulari. Al confine di Oristano si produce la Malvasia di Bosa.

L’itinerario parte da Sassari, seconda città della Sardegna, città di vivace cultura e di ricche tradizioni musicali. La Tathari medioevale si emancipò dal giudicato di Torres, ma rimase sotto controllo pisano, genovese, spagnolo. Divenuta piemontese nel XVIII secolo, modellò il proprio impianto urbanistico sulle città del centro politico, con vie regolari e ampie piazze. La lunga presenza e la tenace diffusione della vite e del vino sull’Isola sono testimoniate dalla presenza del Museo del vino, inserito nel territorio della vigna storica di Berchidda, nel territorio della provincia. Vi sono raccolti vecchi strumenti per la coltivazione della vite, per la raccolta, il trasporto, la pigiatura, la torchiatura dell’uva, per l’imbottigliamento e la conservazione del vino. Una vasta sezione è dedicata alle fasi della lavorazione del sughero e alle varie tipologie di prodotti.

Porto Torres era la Turris Libisonis che forniva ai Romani il grano e gli altri prodotti della Nurra, più ricca a quei tempi, ora ondulata pianura ventosa e spoglia.

Verdeggiante è, invece, la mossa campagna del Logudoro, che si incontra proseguendo nell’interno. Qui la lingua sarda conserva larghe risonanze latine e minori influenze spagnole. Il territorio è impreziosito da cospicue testimonianze preistoriche e nuragiche, e da chiese romaniche di grande interesse, come la SS.Trinità di Saccargia.

Alghero è antica fortezza e porto delle alghe, capitale del corallo e patria delle aragoste. Secondo la tradizione nacque qui l’espressione “Todos caballeros”, che rende ecumenici titoli e onorificenze. Fu Carlo V, nel 1541, a premiare così i cittadini convenuti a salutarlo. Fermatosi in città per una battuta di caccia al cinghiale, l’aveva trovata “bonita y bien asentada”, graziosa e in posizione felice. Due secoli prima gli Aragonesi vi avevano insediato una colonia di Catalani: nell’architettura della città è rimasta la loro impronta profonda, la loro lingua è ancora l’idioma quotidiano degli abitanti.

Nei 42 chilometri che separano Alghero da Bosa la strada corre sospesa sulle onde, tra rocce impervie e piccole insenature orlate di sabbia bianchissima. Nelle campagne a nord della città si può avvistare un grifone, il rapace imparentato con l’avvoltoio che, con i suoi tre metri di apertura alare, ha scelto di solcare questi cieli, unici in Italia. Fondata in epoca fenicia dal leggendario Sardus Pater, fu dominata dai Malaspina, che vi eressero il Castello, e dagli Aragonesi, che le concessero facoltà di battere moneta. Nel secolo XIX della nostra era, la sua fama superò i confini dell’isola per la fiorente industria conciaria. Ora il prestigio le viene soprattutto dalla corposa Malvasia.

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