Assovini
- Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 28.03.1966, G.U. 132 del 30.05.1966
- Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Bianco di Pitigliano D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Bianco di Pitigliano” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Bianco di Pitigliano
- Bianco di Pitigliano Superiore
- Bianco di Pitigliano Spumante
- Bianco di Pitigliano Vin Santo
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Bianco di Pitigliano
- Bianco di Pitigliano (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- >< 40-100% Vitigno Trebbiano Toscano
- >< 0-60% Vitigni Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco dal colore giallo paglierino più o meno intenso, odore fine, delicato e sapore asciutto, fresco, talvolta vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo.
- Bianco di Pitigliano Superiore (Vino Bianco Superiore)
- Versioni: Secco
- >< 40-100% Vitigno Trebbiano Toscano
- >< 0-60% Vitigni Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 12% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco Superiore dal colore giallo paglierino più o meno intenso, odore fine, delicato e sapore asciutto, fresco, vivace, con fondo leggermente amarognolo, di medio corpo, morbido.
- Bianco di Pitigliano Spumante (Vino Bianco Spumante)
- Versioni: Spumante Pas-dosè /Brut-nature /Extra-brut /Brut /Extra-dry /Dry
- >< 40-100% Vitigno Trebbiano Toscano
- >< 0-60% Vitigni Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 11,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco Spumante dalla spuma fine e persistente, colore giallo paglierino con riflessi verdolini, odore delicato e sapore da dosaggio zero a dry, vivace, acidulo, con fondo leggermente amarognolo.
- Bianco di Pitigliano Vin Santo (Vino Bianco Vin Santo)
- Versioni: Secco /Abboccato /Amabile /Dolce
- >< 40-100% Vitigno Trebbiano Toscano
- >< 0-60% Vitigni Greco, Malvasia bianca lunga, Verdello, Grechetto, Ansonica, Chardonnay, Sauvignon, Viognier, Pinot bianco e Riesling italico, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 16% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco Vin Santo dal colore variabile dal giallo paglierino, all’ambrato, al bruno, odore etereo, caldo, caratteristico e sapore da secco a dolce, armonico, vellutato, con più pronunciata rotondità per il tipo amabile.
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Bianco di Pitigliano
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Bianco di Pitigliano si estende sulle colline situate a sud della Toscana, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Bianco di Pitigliano è localizzata in:
- provincia di Grosseto e comprende il territorio dei comuni di Pitigliano, Sorano, Scansano e Manciano.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Bianco di Pitigliano
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Bianco di Pitigliano prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Bianco di Pitigliano non dovrà essere superiore al 70% e al 35% per la tipologia di Vino Vin Santo; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
- Le uve destinate alla produzione del Vino DOC Bianco di Pitigliano Vin Santo devono essere sottoposte ad appassimento naturale in appositi locali.
- Il vino DOC Bianco di Pitigliano Vin Santo deve essere sottoposto ad invecchiamento per circa 18 mesi in recipienti di legno della capacità non superiore a 500 litri.
- Nella designazione dei Vini DOC Bianco di Pitigliano può essere menzionata la dizione "Vigna" purchè sia seguita dal relativo toponimo e che siano rispettate determinate pratiche di vinificazione.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Bianco di Pitigliano è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC Bianco di Pitigliano
Con l’utilizzo della DOC Bianco di Pitigliano i Produttori Vinicoli Toscani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Bianco di Pitigliano
Pietanze a base di pesce e piatti tipici toscani: la panzanella, l'acquacotta, il marzolino, la minestra di riso e lo sformato di carciofi.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Bianco di Pitigliano
I fattori umani legati al territorio di produzione, che per consolidata tradizione hanno contribuito a ottenere i vini del «Bianco di Pitigliano», sono di fondamentale rilievo. In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Statonia, nella parte orientale della zona di produzione, le città etrusche di Sovana e di Saturnia, più a ovest, le aree di Poggio Buco, nella parte meridionale, e di Ghiaccio Forte, a ovest di Manciano, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Pitigliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume; nelle necropoli di Vitozza e Sovana, invece, sono state rinvenute cantine scavate direttamente nel tufo, e un esempio ancor oggi chiaramente visibile lo si ha visitando la fortezza Orsini a Sorano.
La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie. Negli Statuti della Comunità del Cotone le norme stabilite per la protezione delle viti e dell’uva erano molto severe, tanto che prevedevano perfino una multa di 10 soldi per ciascuna bestia grossa entrata a far danno in “vigne o chiuse di olivi da calende di marzo fino a Ognissanti”.
La tradizione vitivinicola del territorio pitiglianese e soranese ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando attraverso le vicissitudini della famiglia Aldobrandeschi e, più tardi, con la scissione di questa famiglia nei due rami di Sovana e Santa Fiora, con quelle degli Orsini, fino alla lunga guerra che questi ingaggiarono con Siena conclusasi, nel 1410, con l’annessione definitiva di Sovana ai domini di Siena, e il conseguente spopolamento di Sovana a favore delle vicine Pitigliano e Sorano.
Fin da epoche lontane, tutti coloro che sostarono nell’antica cittadina di Pitigliano per traffici e azioni militari, ebbero modo di apprezzare e gustare vini soprattutto bianchi, conservati in vasi vinari nelle profonde e fredde grotte di tufo, per le loro peculiari caratteristiche di vini abboccati, gradevolmente profumati. Studiosi di ogni tempo riconobbero i pregi delle uve di questo territorio e l’eccellenza dei vini prodotti.
Il dott. Villafranchi-Giorgini, nel 1847, in una memoria letta alla Società Agraria Grossetana, affermava che esisteva all’Orto Botanico di Pisa un tronco di vite alto 5 braccia (metri 2,92) e della circonferenza di 4 (metri 2,30) proveniente da Valle Castagneta, cioè nell’area soranese. Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, così scriveva: “La vite ha sempre allignato, fino dalle epoche più remote, nella provincia di Grosseto.
Le varietà di vite da noi conosciute e coltivate sono molte, poichè si può asserire che tutte le varietà di sì prezioso sarmento, anche le esotiche, vegetano bene nel nostro suolo…… Le vigne pure da qualche tempo si sono estese ed hanno migliorato nel proprio prodotto, ma tuttavia anche per questo lato la provincia di Grosseto sarebbe capace di più, poichè la vite cresce benissimo e porge preziosi e squisiti grappoli in ogni parte della provincia, perchè non abbiamo veramente nè caldi nè freddi eccessivi,….. perchè dovunque trovasi terreni leggeri, permeabili, aridi nelle parti elevate, dovute a sabbie, a rocce decomposte, a detriti vulcanici e sassaie”. Da ciò la categorica affermazione: “La provincia di Grosseto, per cinque sesti ha terreno adatto alla viticoltura”.
Parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona lo stesso Ademollo così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari…… Attualmente la maggior quantità di vino viene data dai comuni di Pitigliano, Sorano, Massa Marittima e Roccastrada i quali sono pure dotati di buone Cantine per conservarlo specialmente i primi due, fabbricati come sono nella lavorabile tufa vulcanica”.
Nel periodo storico successivo, caratterizzato da due eventi bellici e da un ventennio di dittatura politica, la situazione viticola della zona pitiglianese e soranese ha seguito le sorti dell’agricoltura in genere, il cui obiettivo principale era quello di conseguire un’economia di consumo e la piena occupazione della mano d’opera. In tale periodo, la viticoltura non era certamente florida, in quanto legata all’immobilismo, alla polverizzazione delle proprietà diretto coltivatrici e alle diffuse forme di conduzione mezzadrile, sfavorevoli all’espansione della specializzazione viticola, tanto che nella prima metà del Novecento la superficie vitata non subisce in questa zona profonde modificazioni.
Nei decenni successivi, invece, si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.
Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione nel 1954 della Cantina Sociale di Pitigliano, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.
Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra proprio le caratteristiche dei vini di Pitigliano. Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma sud-orientale poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per i vini prodotti nella zona, riconoscimento che verrà attribuito nel 1966 (il sesto, in ordine cronologico, attribuito in Italia) per il vino «Bianco di Pitigliano» incentrato, per lo più, sulle uve dei vitigni Trebbiano toscano (localmente detto Procanico), Greco, Grechetto, Malvasia bianca lunga e Verdello, al quale si sono aggiunte, quasi 25 anni dopo, le versioni Superiore e Spumante, unitamente all’inserimento di nuove varietà – per lo più internazionali – tra quelle complementari, presenti soprattutto nei nuovi impianti; infine, con la modifica del disciplinare intervenuta a novembre 2011, è stata inserita la tipologia tradizionale Vin Santo, con la contestuale semplificazione della base ampelografica produttiva, basata sempre sul Trebbiano toscano ma con uno spazio più ampio per i vitigni complementari, tra i quali sono stati inseriti Ansonica e Viognier.
Il Vino DOC Bianco di Pitigliano ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 28 marzo 1966.
- Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 18.04.1989, G.U. 256 del 02.11.1989
- Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Bianco dell’Empolese D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Bianco dell'Empolese” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Bianco
- Vin Santo
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Bianco dell’Empolese
- Bianco dell’Empolese (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- => 60% Vitigno Trebbiano Toscano
- =< 40% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco dal colore giallo paglierino più o meno intenso, odore delicato, fine, caratteristico e sapore secco, armonico, fresco, delicato.
- Bianco dell’Empolese Vin Santo (Vino Bianco Vin Santo)
- Versioni: Secco /Amabile
- => 60% Vitigno Trebbiano Toscano
- =< 40% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 17% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco Vin Santo dal colore variabile dal giallo dorato all’ambrato più o meno intenso, odore intenso, etereo, caratteristico e sapore secco o amabile, armonico, morbido, con caratteristico retrogusto.
__________
(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Bianco dell’Empolese
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Bianco dell’Empolese si estende sulle colline fiorentine dell'Appennino centrale, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Bianco dell’Empolese è localizzata in:
- provincia di Firenze e comprende il territorio dei comuni di Empoli, Cerreto Guidi, Fucecchio, Vinci, Capraia e Limite, Montelupo Fiorentino.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Bianco dell’Empolese
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Bianco dell’Empolese prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Bianco dell’Empolese non dovrà essere superiore al 70% e al 35% per la tipologia di Vino Vin Santo; nel caso tali parametri venissero superati entro il limite del 5%, l'eccedenza non potrà avere diritto alla DOC. Oltre detti limiti decade il diritto alla DOC per tutto il prodotto.
- Le uve destinate alla produzione del Vino DOC Bianco dell’Empolese Vin Santo devono essere sottoposte ad appassimento naturale fino a raggiungere un grado zuccherino di almeno 28%.
- Il vino DOC Bianco dell’Empolese Vin Santo deve essere sottoposto ad invecchiamento per circa 36 mesi e, comunque, immesso sul mercato non prima del 1° dicembre del terzo anno successivo alla vendemmia.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Bianco dell’Empolese è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC Bianco dell’Empolese
Con l’utilizzo della DOC Bianco dell’Empolese i Produttori Vinicoli Toscani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Bianco dell’Empolese
Pietanze della cucina di mare: molluschi, crostacei, anguille, torta di acciughe; pietanze tradizionali toscane: la panzanella, il marzolino e la minestra di riso.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Bianco dell’Empolese
La millenaria storia viticola riferita al questa zona , dall’epoca romana, al medioevo, fino ai giorni nostri, attestata da numerosi documenti, è la generale e fondamentale prova della stretta connessione ed interazione esistente tra i fattori umani e la qualità e le peculiari caratteristiche del Bianco dell’Empolese. Ovvero è la testimonianza di come l’intervento dell’uomo nel particolare territorio abbia, nel corso dei secoli, tramandato tecniche di coltivazione della vite ed enologiche, le quali nell’epoca moderna e contemporanea sono state migliorate ed affinate, grazie all’indiscusso progresso scientifico e tecnologico, fino ad ottenere i rinomati vini Bianco dell’Empolese.
La presenza della viticoltura nell’area delimitata è precedente all’epoca romana. Reperti archeologici ritrovati presso l’abitato etrusco di Bibbiani- Monteregi (Comune di Capraia e Limite) e risalenti al V-IV secolo a. C. raffigurano coppe di vino utilizzate durante le libagioni.
In epoca Romana era presente addirittura una cospicua produzione di anfore vinarie (Anfora di Empoli). Dalla zona empolese venivano esportate anfore contenenti vino prodotto in loco che seguendo la via fluviale dell’Arno arrivavano a Roma ed in tutto il Mediterraneo. I ritrovamenti di anfore di Empoli al di fuori dai centri di produzione testimonia la floridezza della produzione vinicola che permetteva di destinare un surplus anche all’esportazione.
Successivamente si ha menzione di terreni coltivati a vite in un atto di donazione del 767 d.C. al Monastero di san Bartolomeo in zona Bibbiani.
In una delibera del 1333 del Comune di Fucecchio si ha menzione di una cospicua produzione di vino ed in uno statuto del 1353 si parla del trebbiano come uno dei vitigni più diffusi.
Agli inizi del 1400 nasce nella zona di Empoli la produzione vetraria (fiaschi, damigiane, bottiglie) legata alla produzione dei vini. Ed è stato appurato dal Prof. Federico Melis attraverso approfonditi studi di storiografia economica che la maggiore produzione fosse proprio di vini bianchi, dato che raramente si trovano cenni ai vini “vermigli”. Pure del 1400 è la valutazione al “cognio” 1 dei vini prodotti nel Piano di Pontormo...e nel Piano di Empoli... .
Nel 1515 è Leonardo da Vinci a parlarci di come deve avvenire una corretta vinificazione, mentre il padre era egli stesso produttore (...84 barili prodotti nei poderi di Bacchereto e Vinci).
Nel corso dei secoli la viticoltura ha mantenuto il ruolo di coltura principe del territorio, fino all’attualità, come dimostrano per esempio i plantari della fattoria Corsini di Fucecchio e l’inventario del 1919 che riporta che ben 256 ha su un totale di 306 erano destinati a seminativo vitato..
Negli anni ’50 –’60 era presente una notevole produzione della zona commercializzata anche in altre aree geografiche, soprattutto in Versilia. Le quotazioni commerciali raggiunsero quelle dei rossi tanto che ci fu un notevole fervore nell’impianto di vigneti bianchi. Ne è ancora testimonianza che circa il 40% dei vigneti a bacca bianca presenti attualmente abbia più di 40 anni. La cospicua quantità di vini bianchi e la commercializzazione anche al di fuori dell’area di produzione resero necessaria la costituzione in data 27 giugno 1969 dell’Ente di Tutela dei Vini Tipici di Empoli e della Valdelsa che operò per vari anni nell’ambito della Denominazione Semplice applicando uno specifico marchio.
Nel 1979 fu inoltrata al competente ministero la richiesta di riconoscimento come DOC per il vino “Bianco delle Colline Empolesi”, che fu approvato con il nome modificato di vino “a DOC “Bianco dell’Empolese”. Nel 1990 l’ente ottenne anche l’autorizzazione alla sorveglianza, disponendo anche di un proprio laboratorio chimico.
Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole rilancio dei vini a DOC Bianco dell’Empolese attraverso la realizzazione di pubblicazioni, l’organizzazione di eventi promozionali quali la qualificata rassegna del Bianco dell’Empolese e soprattutto la richiesta di aggiornamento del disciplinare accolta con il Decreto 14 settembre 2010.
Il Vino DOC Bianco dell’Empolese ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 18 aprile 1989.
- Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato con D.P.R. 28.04.1975, G.U. 222 del 21.08.1975
- Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Barco Reale di Carmignano D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Barco Reale di Carmignano” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Rosso
- Rosato
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Barco Reale di Carmignano
- Barco Reale di Carmignano (Vino Rosso)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Sangiovese
- =< 20% Vitigno Canaiolo Nero
- =< 10% Vitigni Trebbiano toscano, Canaiolo bianco e Malvasia, da soli o congiuntamente;
- >< 10-20% Vitigni Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosso dal colore rosso rubino vivace e brillante, odore vinoso con profumo intenso, fruttato e sapore asciutto, sapido, fresco, pieno, armonico.
- Barco Reale di Carmignano Rosato (Vino Rosato)
- Versioni: Secco
- => 50% Vitigno Sangiovese
- =< 20% Vitigno Canaiolo Nero
- =< 10% Vitigni Trebbiano toscano, Canaiolo bianco e Malvasia, da soli o congiuntamente;
- >< 10-20% Vitigni Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon, da soli o congiuntamente;
- =< 15% Vitigni a bacca nera idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 11% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Rosato dal colore rosa più o meno carico, a volte con riflessi rubino, odore fruttato, vinoso più o meno intenso, caratteristico e sapore asciutto, fresco, piacevolmente acidulo, armonico.
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(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Barco Reale di Carmignano
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Barco Reale di Carmignano si estende sulle colline pratesi situate all’interno della piccola catena del Montalbano, che da Serravalle Pistoiese giunge a strapiombo sull’Arno a sud di Artimino, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Barco Reale di Carmignano è localizzata in:
- provincia di Prato e comprende il territorio dei comuni di Carmignano e Poggio a Caiano.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Barco Reale di Carmignano
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Barco Reale di Carmignano prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Barco Reale di Carmignano non dovrà essere superiore al 70%.
- Nella designazione dei Vini DOC Barco Reale di Carmignano può essere menzionata la dizione "Vigna" purchè sia seguita dal relativo toponimo e che siano rispettate determinate pratiche di vinificazione.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Barco Reale di Carmignano è obbligatorio riportare l'annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC Barco Reale di Carmignano
Con l’utilizzo della DOC Barco Reale di Carmignano i Produttori Vinicoli Toscani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Barco Reale di Carmignano
Prodotti della vasta e raffinata gastronomia e pasticceria carmignanese-pratese.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Barco Reale di Carmignano
Le pregevoli caratteristiche del vino prodotto nella zona del Carmignano sono note da lungo tempo. Già nel ‘300 Pietro Domenico Bartoloni, cronista, parla dei “vini di Carmignano e di Artimino che sono eccellenti”. Il Ricci nelle “Memorie storiche di Carmignano”, 1895, riferisce che Ser Lapo Mazzei acquistò l’8 dicembre 1396, per conto di Marco Datini, 15 soma di vino di Carmignano al prezzo di “un fiorino suggello” la soma (un prezzo pari a circa quattro volte quello dei vini maggiormente quotati a quel tempo).
Il Redi (1673), nel famoso ditirambo, parla in termini molto lusinghieri del “Carmignano”, “ma se giara io prendo in mano di brillante Carmignano così grato in sen mi piove che ambrosia e nettar non invidio a Giove”. I vini di Carmignano si erano fatti un buon nome anche al di fuori dei confini, tanto che nel 1716 il Granduca di Toscana Cosimo III dei Medici emise un bando per fissare in modo chiaro ed inequivocabile i confini del comprensorio di produzione del “vino di Carmignano” insieme a quelli di altri tre vini.
Numerose altre testimonianze, successive al bando granducale, confermano il riconoscimento di particolari caratteri a questo vino e tali da distinguerlo nettamente da altri rinomati vini prodotti nelle varie zone della Toscana. Il Repetti (1833) afferma che il “Carmignano” è uno dei migliori e più rinomati vini della Toscana. L’Amati, nel suo “Dizionario geografico dell’Italia” (1870) raccomanda fra gli altri vini il Carmignano “squisito”. Il Cusmano (1889) nel “Dizionario metodico-alfabetico di viticoltura ed enologia” cita il Carmignano tra i vini migliori prodotti in Toscana. Il Palgiani (1891) nel “Supplemento alla VI edizione della “Enciclopedia Italiana” afferma, alla voce “Carmignano” “....tra il territorio bagnato dall’Arno e dall’Ombrone produce vini squisiti, dei migliori della Toscana”.
L’elenco delle testimonianze potrebbe ancora continuare, ma quanto sopra richiamato ci sembra sufficiente per potere affermare che i vini praticamente prodotti nella zona delimitata dal Bando Granducale del 1716, hanno sempre avuto una fisionomia propria che li ha distinti, per le loro caratteristiche particolari, dagli altri eccellenti vini che si producono in Toscana. Esistono infatti delle particolari condizioni microambientali ed agronomiche che, agendo congiuntamente, imprimono ai vini prodotti nel territorio di Carmignano un carattere unico e riconoscibile.
Il Vino DOC Barco Reale di Carmignano ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 28 aprile 1975.
- Vino a Denominazione di Origine Controllata - Approvato dal D.M. 28.04.1995, G.U. 125 del 31.05.1995
- Denominazione aggiornata con le ultime modifiche introdotte dal D.M. 07.03.2014
--- Confine regionale --- Confine provinciale ♦ Zona di produzione
Vino Ansonica Costa dell'Argentario D.O.C.
La denominazione di origine controllata “Ansonica Costa dell'Argentario” è riservata ai vini che rispondono alle condizioni e ai requisiti prescritti dal disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:
- Bianco
1. Tipologie e Uve del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
- Ansonica Costa dell'Argentario (Vino Bianco)
- Versioni: Secco
- => 85% Vitigno Ansonica
- =< 15% Vitigni a bacca bianca idonei alla coltivazione nella regione Toscana.
- => 10,50% Vol. Titolo alcolometrico
- Vino Bianco dal colore giallo paglierino più o meno intenso, odore caratteristico, leggermente fruttato e sapore asciutto, morbido, vivace e armonico.
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(Legenda simboli: > maggiore di; < minore di; >< da-a; = uguale a; => uguale o maggiore di; =< uguale o minore di).
2. Territorio e Zona di produzione del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
L'area geografica vocata alla produzione del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario si estende sulle colline situate a sud della Toscana, in un territorio adeguatamente ventilato, luminoso e favorevole all'espletamento di tutte le funzioni vegeto-produttive delle vigne.
La Zona di Produzione del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario è localizzata in:
- provincia di Grosseto e comprende il territorio dei comuni di Manciano, Orbetello, Capalbio, Isola del Giglio e Monte Argentario.
3. Vinificazione e Affinamento del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
Nelle fasi di vinificazione sono ammesse soltanto le pratiche enologiche leali e costanti della zona atte a conferire ai vini le loro peculiari caratteristiche di qualità.
Le pratiche enologiche di vinificazione del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario prevedono, tra l'altro, che:
- La resa massima dell’uva in vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario non dovrà essere superiore al 70%.
- Nella designazione dei Vini DOC Ansonica Costa dell'Argentario può essere menzionata la dizione "Vigna" purchè sia seguita dal relativo toponimo e che siano rispettate determinate pratiche di vinificazione.
- Sulle etichette di ciascuna tipologia di Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario è obbligatorio riportare l'Annata di produzione delle uve.
4. Produttori di Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
Con l’utilizzo della DOC Ansonica Costa dell'Argentario i Produttori Vinicoli Toscani sono orgogliosi di presentare al consumatore un Vino di Qualità che ha più cose da raccontare rispetto ad altri: da dove proviene, come viene lavorato, le origini storiche e le caratteristiche che lo identificano in un territorio ben definito che l'appassionato o l'estimatore potrà maggiormente percepire ed apprezzare durante la Visita alle Cantine che operano nell'ambito di questa denominazione.
5. Abbinamenti gastronomici con il Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
Antipasti e insalate di mare, primi e secondi) e a zuppe di verdura.
6. Storia e Letteratura del Vino DOC Ansonica Costa dell'Argentario
In quest’area, infatti, esistono testimonianze della coltivazione della vite che risalgono al periodo etrusco, greco e romano – l’antica città etrusca di Cosa, nella parte meridionale della zona di produzione, l’area di Poggio Buco, più a nord, sono solo alcuni esempi di insediamenti più o meno rilevanti – come testimoniano alcuni reperti; in particolare, presso Marsiliana lungo il corso del fiume Albegna, è stato rinvenuto un numero consistente di vasellame e pithoi (recipienti particolari per la raccolta del vino proveniente dalla pigiatura delle uve e dai torchi), probabilmente poiché il luogo corrispondeva a un vero e proprio centro di raccolta per i vini che provenivano dalle aree più interne (colline di Manciano, Capalbio, Magliano e Scansano), trasportati lungo il corso del fiume.
Inoltre, sul territorio dell’isola del Giglio, sono stati rinvenuti numerosi palmenti in pietra, specie di vasche cilindriche scavate direttamente sulla roccia talvolta ai piedi di un vigneto, utilizzate da etruschi e, più tardi, romani, per la pigiatura e lo sgrondo delle uve. Ma anche la scoperta di relitti del V secolo a.C. e il recupero di vasellame etrusco, corinzio e fenicio e di anfore vinarie nelle acque prospicienti l’isola del Giglio attesterebbero la presenza di contatti, trasporti e commerci tra l’isola e le città dell’Etruria e d’altri paesi del Mediterraneo.
La dominazione romana accentuò la tendenza al miglioramento delle tecniche di vinificazione, che rimasero insuperate fino al medioevo; in questo periodo storico, la vite acquistò particolare importanza come pianta colonizzatrice, tanto che governanti e feudatari riconobbero la necessità di concedere terre adatte per questa coltura, che ebbe particolare protezione con apposite norme statutarie.
Un ulteriore impulso all’attività vitivinicola del territorio fu dato dalle repubbliche marinare, in particolare Pisa, che tramite le potenti reti commerciali tessute dai loro mercanti contribuirono alla valorizzazione dei vini del Giglio e delle altre aree costiere della Maremma meridionale, vini che erano qualificati, all’epoca, come “robusti e forti”.
La tradizione vitivinicola della Maremma meridionale e insulare ha continuato a trasmettersi nei secoli, passando anche attraverso le vicissitudini legate agli assalti dei Pirati: drammatico quello del 1554, quando il pirata Barbarossa provocò la deportazione di oltre 600 abitanti del Giglio che, all’epoca, era intensamente coltivata a vigneto, e la vinificazione avveniva mediante l’utilizzo dei palmenti, con una produzione di circa 18.000 barili di vino per lo più esportati e venduti in terra ferma, prevalentemente allo Stato della Chiesa e alla Repubblica di Genova; più tardi, l’isola e gran parte del territorio passarono attraverso le dominazioni delle repubbliche di Pisa, Genova e Siena, dello Stato della Chiesa, fino al Regno di Napoli, mantenendo inalterata, tuttavia, la tradizione vitivinicola e una certa attività commerciale di vini, per lo più bianchi, la cui eccellente qualità fu riconosciuta da studiosi di ogni tempo.
L’enotecnico Luigi Vivarelli, in una memoria pubblicata nel 1906 su “La vite e il vino nel mandamento di Orbetello” riferiva l’esistenza di tronchi di vite di dimensioni eccezionali, il che portava a pensare a un’attività viticola fortemente tradizionale. In una relazione del funzionario Granducale Miller del 1766, si afferma che al Giglio abitavano circa 900 persone e vi erano coltivati circa 10 moggia di terreno a vigneto e frutteto, con una produzione di vino che si aggirava intorno a 500 botti (“in tutto il territorio dell’isola si ricoglie negli anni mediocri vino botti 500 di barili 12 per ciascheduna”); è proprio in questo periodo di grandi trasformazioni agricole che è possibile collocare l’attestazione del vitigno Ansonaco sulle altre varietà di vitigni autoctoni.
Il dott. Alfonso Ademollo, in una relazione all’inchiesta parlamentare Jacini, tenendo conto della vocazione viticola della Maremma, nel 1884 affermava che tutte le varietà “vegetano bene nel nostro suolo ed a noi non mancano le uve da spremere e da mangiare, queste ultime a dovizia fornite dal Monte Argentario e dall’Isola del Giglio”. L’Ademollo, nel fornire interessanti informazioni sulla situazione viticola della provincia, la descriveva come altamente vocata alla viticoltura e, parlando dei pregi e dei difetti del vino prodotto nella zona, così si esprimeva: “II vino, questo benefico liquido che ha tanta importanza nella pubblica e privata economia, come nella pubblica e privata salute, viene prodotto dai nostri viticoltori con sempre crescente progresso e accuratezza in ogni parte della provincia di Grosseto, sia nella zona piana, che in quella montuosa, e per la bontà e quantità in alcuni Comuni è di una rendita importante ai proprietari…… Vini forti e generosi poi si incontrano nei comuni più marittimi i quali sono quelli di Orbetello, Monte Argentario e Giglio”.
Nel secolo successivo, Ottorino Brandaglia, a proposito della tradizione e la qualità vitivinicola gigliese, così si esprimeva sulla stampa nazionale: “Buona parte del suo territorio è coltivato a vigneti e il contadino gigliese, tenace e silenzioso lavoratore, ….. ha saputo con lavoro paziente e inaudito sui fianchi ripidi e rocciosi dell’isola, in alcuni punti portandoci la terra, piantare le viti, circondando i minuscoli vigneti, chiamati nel gergo paesano poste o cacchioni, di muriccioli a secco per proteggerli contro la veemenza delle piogge e del vento….E come non ricordare il vino. Esso possiede delle qualità meravigliose e una tale potenza di alcool da superare di gran lunga tutte le altre specie del Regno pur tanto declamate….Intanto si ponga mente alla vegetazione ricca, all’aria salubre, soprattutto alle magnifiche distese di vigneti, che producono la famosa uva Anzonica, notissima in tutta la Maremma”.
Nei decenni successivi si moltiplicano le iniziative di molti proprietari – aiutate e incentivate anche dall’applicazione della riforma fondiaria e dall’opera dei tecnici agricoli – intese a sviluppare una viticoltura sempre più razionale, anche con la diffusione di nuove cultivar nei territori collinari più facili. Ma l’espansione viticola, se non accompagnata dal perfezionamento della tecnica vinicola e quindi della qualità dei vini prodotti, creava notevoli problemi di organizzazione e diffusione dei vini stessi, anche a causa della disponibilità di modeste partite, dalle caratteristiche poco omogenee anche se pregiate.
Un contributo decisivo alla risoluzione di questi problemi è stato dato dalla realizzazione della Cantina Sociale di Capalbio, con lo scopo di raccogliere e trasformare la produzione viticola del comprensorio circostante e che rappresenta una circostanza importante per la nascita dell’industria enologica, alfine di presentare sul mercato vini uniformi, di tipo costante, migliorati nella qualità e standardizzati nella presentazione.
Più tardi, anche alcune pubblicazioni scientifiche del settore, occupandosi dei vini ottenuti su questo territorio, apportarono un contributo importante alla loro valorizzazione; “Vini tipici e pregiati d’Italia” di R. Capone, edito nel 1963, illustra, tra l’altro, le caratteristiche dei vini della zona di Capalbio, soffermandosi anche sui rinomati vini bianchi a base di Ansonica. Furono questi i presupposti che portarono alla consapevolezza che il territorio della Maremma meridionale e insulare poteva aspirare al riconoscimento della denominazione di origine controllata per il vitigno Ansonica prodotto nella zona, che verrà attribuito nel 1995 per il vino Ansonica Costa dell’Argentario ottenuto con l’apporto determinante (minimo 85%) proprio dell’omonima varietà a bacca bianca.
Il Vino DOC Ansonica Costa dell’Argentario ha ottenuto il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata in data 28 aprile 1995.